venerdì, Novembre 22, 2024

Old Man & The Gun, il crepuscolo di Robert Redford nel film di David Lowery: la recensione

Si dovrebbe star lontani dalle dichiarazioni terminali; flagranti solo per alimentare il tritacarne dei media, sono strettamente connesse al funzionamento promozionale di un prodotto, soprattutto quando cercano di suscitare un sentimento o il simulacro di un’emozione. Redford lascia il cinema, almeno come attore, non importa se è vero, ritrattato o semplicemente immaginato, conta solamente nell’attimo, come un necrologio diffuso sui social network. Un fantasma che si mangia qualsiasi formulazione sul suo ultimo film, modulando l’esperienza su questa necessità senile ormai irrimediabilmente prolettica. Ecco perché diventa rischiosissimo nutrire qualche dubbio su “The Old Man & the Gun“, film che per chi scrive non rappresenta il miglior commiato per l’attore americano, imprigionato in un’opera debolissima e per certi versi disonesta, dove la forzatura di una realtà posturalmente elegiaca risulta artificiale come sanno esserlo solo alcune iconografie attoriali legate alla rappresentazione di un mondo crepuscolare.
Redford si cala nei panni di Forrest Tucker, criminale evaso dal carcere di San Quintino alla veneranda età di 59 anni, per continuare a rapinar banche. Ladro e truffatore fuori dalla media non solo per questioni anagrafiche, ma per un’innata cortesia che informa tutte le sue azioni. Impeccabile, elegante e con un paio di baffi finti, lascia dietro di se una scia di furti e allo stesso tempo un’impressione positiva anche tra le sue vittime.
David Lowery, regista che è riuscito a trovare un piccolo seguito per le sue “fiabe” aggiornate secondo i gusti dello spettatore “critico” digitale affamato e allo stesso tempo digiuno di tutto (il sopravvalutatissimo “A ghost story”), si ispira ad un articolo scritto nel 2003 da David Gann, editorialista del New Yorker, dove si descrive un Tucker già settantottenne, accasato con la terza moglie, ma ancora desideroso di mettere a ferro e fuoco qualche banca. Da quella breve analisi Lowery preleva la descrizione di uno spirito indomito, costantemente in movimento, a metà tra pericolo e filantropia, la stessa che applica nei confronti di Jewel (Sissy Spaceck), vedova di un proprietario terriero che il nostro aiuterà con il saldo del mutuo.
Eppure a leggere il pezzo di Gann emerge una tensione irrisolta tra le difficili origini di Tucker e le innumerevoli “disfunzioni” famigliari che il “ladro gentiluomo” di Lowery non sfiora minimamente neanche con la memoria, tanto da consegnarci un ritratto innocuo e addomesticato, che contamina con la stessa medietà anche i personaggi interpretati da Danny Glover e Tom Waits, ovvero la “Over the Hill Gang” che collaborava con Forrest durante le scorribande criminali.
Se l’attenzione ai sentimenti sembra vicina agli anni ottanta dell’ambientazione, l’ipotesi che si tratti di un omaggio al cinema più intimo di quegli anni e alla seconda parte della carriera di Redford, viene spazzata via da un risultato che ipostatizza il santino sull’attore americano entro coordinate di autocompiacimento davvero difficili da digerire e che in qualche modo ricordano da vicino la retorica di un’altro film “terminale” come Lucky, salvato solamente dall’irriducibilità di Harry Dean Stanton. La cinefilia avvolgente, quella già morta per i già morti, rientra nelle intenzioni del progetto, come la scelta fintamente radicale di girare in 16 millimetri. Eppure, anche nel caso di Redford, i primi piani insistiti di Lowery fanno emergere un contrasto, una stanchezza fatta di pietra e scavata nella carne che non può essere domata dalla replica di se stesso, anzi è proprio attraverso il rivedersi e l’autoriflessività che emerge l’aspetto involontariamente metadiscorsivo di “The Old Man and The Gun”.  Il Redford degli ultimi film del resto, riflette sempre se se stesso, sulle sue posizioni, sul suo modo di vedere la realtà e sul suo stesso corpus di opere; ruoli passati, rivisti per straordinaria sottrazione come nel bellissimo “All is lost” di J. C. Chandor o agli antipodi, nel tentativo di restistere all’allestimento di un teatrino come questo, che deve per forza assumere la funzione di una celebrazione innocua a senza intensità. 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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