Completamente autoprodotto, realizzato in “quattro anni di lavorazione autistica“, il primo vero lungometraggio di Mario Pischedda è un lavoro “instabile, provvisorio, precario, suscettibile di variazioni, incompleto, astatico, estatico“.
Primo lungometraggio se si escludono tutti i formati audiovisivi che l’artista Sardo ha messo insieme nel corso di eventi, installazioni, festival di cinema non riconciliato, presidi estemporanei. Mi sono immaginato, prima della visione, quale Mario Pischedda avrei trovato dentro “Onde Rod”; quello dei frammenti multimediocri diffusi in rete, tra videoritratto, confessione e astrazione, oppure l’intelligenza poetica connettiva dei suoi testi combinatori, da Spampoetries, a Cafè Bizarre, fino al più recente Tap Roul. O ancora l’aura pittorica e metafisica dei suoi scatti fotografici, tra macchine celibi autoriflessive e corpi cancellati o meglio ancora, sciolti nel magma digitale.
Niente di tutto questo, e assolutamente tutto di questi elementi. Niente, perchè il formato di 71 minuti è un’estensione inedita per Pischedda dove il tracciato di una molteplicità di viaggi sovrapposti verso Olbia, Bortigiadas e altri luoghi della Sardegna occupa uno spazio diverso dall’estemporaneità e dal disfacimento quasi lettrista della sua arte; tutto perchè questa mappatura del territorio, esterna alla centralità dell’abitacolo con le strade e il paesaggio che sembrano muovere la macchina, e interiore attraverso il racconto dei numerosi viandanti, consente di far entrare e uscire l’esperienza inmovement di Pischedda con quei puntini di sospensione che si servono del mezzo in modo leggero, aereo, impalpabile, facendo convergere scrittura e cancellazione.
Sembra difficile ad una prima visione ricostruire i racconti di Marco Travaglio, Aldo Ricci, Antonello Grimaldi, Gavino Sale, Camelia Ciobano, Quilo, le cover musicali irresistibili e surreali di Giuseppe Masia…. e lo è se non ci si lascia andare al gioco combinatorio a cui Mario ci ha abituati, che consente di accettare gli elementi materiali del discorso per quello che sono. Non è un caso che Onde Rod sia quindi un film dall’andamento musicale, non così distante dall’idea espansa e infinita che sta velocemente cambiando il formato dei “music video” destinati alla fruizione in rete, ormai fuori dai recinti catodici imposti. Perchè chissà come e cosa potrebbe essere una versione interattiva di “Onde Rod”, con la possibilità di scegliersi uno dei viaggi con cui partire per poi saltare da un capo all’altro della visione, come in Happy di Pharrell.
In fondo chi se ne frega, direbbe Mario, la leggerezza nuovamente o forse finalmente “stylo” del digitale non ha niente a che vedere con le scelte pachidermiche della post-produzione CGI; Pischedda preferisce una vicinanza aptica, lo sa bene il piccolo Adelchi, il figlio di Enrico Ghezzi che apre il film e guarda dentro l’occhio disincarnato di una go-pro, un gioco di sguardi che si ripete con il padre mentre la strana soggettiva passa di mano in mano, si aggancia al corpo, segue direttamente il gesto e il gioco affettivo tra i due. E nel caso in cui l’occhio sia quello di Pischedda operatore, questo entra in campo impercettibilmente attraverso vere e proprie transizioni, riflessi risucchiati da una sovrimpressione tra paesaggio e movimento, abitacolo e paesaggio.
In Onde Rod c’è allora l’intervista istantanea, la confessione confidenziale, ma in una versione frammentatissima nonostante l’illusione infinita dei viaggi; il procedimento è lo stesso che Pischedda mette in moto su Facebook: registrare, combinare, cancellare, un cinema di poesia che servendosi dei segni frequentativi digitali, esattamente come gli “status” sui social media, crea una musica connettiva più che un racconto collettivo, un po’ come i relitti post industriali che il grande FM Einheit ci raccontava come prassi creativa sua e dei primi Einstürzende Neubauten, basata sostanzialmente sulla cancellazione progressiva.
Gli ultimi dieci minuti di Onde Rod confermano l’idea di una sinfonia sinestetica trasformando definitivamente il fonema in suono e il viaggio in un’immagine della strada videopittorica e quasi impressionista, con tre bellissime versioni che passano da una soggettiva del percorso in bianco e nero, ad una visione elettrica del paesaggio notturno accentuata dal montaggio di Tore Manca che segue parte del discorso ritmico-musicale, fino alla bellissima sequenza conclusiva dove pioggia e strada si sciolgono nell’immagine, in una versione in movimento dell’arte fotografica di Pischedda.
Onde Rod, che si è chiuso il 17 aprile del 2013 alle 18:30, quando all’autore scadeva la sua copia di Kaspersky, si vede attraverso proiezioni private, passaparola oppure eventi speciali e serate di video arte; una di queste è per il prossimo 21 Maggio, una proiezione pubblica Cagliaritana alle 20:30 presso la Cineteca Sarda in Viale Trieste 118-126, è un’occasione da non perdere, per vedere un’opera che sfugge dai formati convenzionali, ma che è una vera e propria esperienza, il cui unico modo d’incontro, è nella capacità di lasciare andare lo sguardo. Oltre Mario Pischedda, durante la serata interverranno Antonello Zanda e Sergio Naitza.