Home nuove illusioni Pa-ra-da di Marco Pontecorvo – Venezia 65 – Orizzonti

Pa-ra-da di Marco Pontecorvo – Venezia 65 – Orizzonti

Il viaggio di Marco Pontecorvo alla ricerca dei Boskettari, ragazzi di strada che vivono ai margini di Bucarest, si scontra con le spaccature della morfologia urbana e delinea un tracciato drammatico e feroce che contrappone continuamente la deriva della città all’epifania di uno spazio possibile. Milaud, assistente sociale con la passione per la clownerie interpretato da un potente Jalil Lespert, affronta la via del recupero attraverso la costruzione di uno spazio performativo in grado di cogliere il meraviglioso e la permeabilità dei gesti dentro l’orrore di una città devastata dallo sfruttamento e trasformata in un mostro opaco. Pontecorvo in questo senso è politicamente chiaro e quasi didascalico; gli stati e il sistema diplomatico che ne costituisce il collante sopravvivono su un terribile equilibrio che sacrifica soprattutto i minori. Se da una parte viene in mente Amos Gitai che in Terra Promessa parla di una tregua terrifica tra Israele e Palestina pagata attraverso il martirio della prostituzione o Teresa Villaverde che traccia un percorso storico dell’europa attraverso un’immagine del calvario nel suo bellissimo Trance, quello che sembra mancare a Parada è probabilmente il rischio di perdersi e di confondersi in uno spazio vertiginoso, sonnabulo, perduto. La costruzione di Pontecorvo segue sicuramente una suggestione performativa nell’intenzione di aprire l’idea della visione attraverso gli interstizi di un non luogo, questo grazie anche agli inserti musicali di Andrea Guerra che giocano con quel minimalismo circense che a tratti ricorda i giochi sonori di Yann Tiersen, ma succede in rari momenti. Invece di lasciare che l’improvvisazione funzioni come una variante estrema ed ambigua del punto di vista, Pa-ra-da opera a livello di una riduzione bozzettistica preferendo la cesura, la chiusura del racconto in forma episodica alla forza degli elementi messi in campo. C’è una notevole capacità di lasciare e riprendere gli attori nel/dal doppio spazio dell’azione performativa e di cogliere elementi di tensione tra l’esterno e l’interno ma senza il coraggio sufficiente di trasformare la forza politica in “visione” politica.

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