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Poli opposti di Max Croci: la recensione

Max Croci è un talento multiforme. Oltre alla produzione di cortometraggi, la sua formazione come illustratore gli ha consentito di affrontare l’immagine con un iperrealismo spinto che desume di volta in volta dal design, dall’illustrazione tout court e dal décor del cinema classico, inclusa l’animazione Warner e Metro tra gli anni quaranta e cinquanta. Sono suoi alcuni dei documentari sul cinema di genere prodotti per Sky Cinema, tra cui ricordiamo “L’arte dei titoli di testa“, omaggio ai lavori di Saul Bass, Maurice Binder, Pablo Ferro e Richard William, ma sopratutto ricognizione sulla creatività grafica che dall’advertising arriva fino ai giorni in cui le motion graphics dialogano nuovamente con l’optical art degli anni sessanta. A questo proposito, basta dare un occhio ai titoli di testa di alcuni dei corti realizzati da Croci, in particolare “Lacrime nere“, “Vedo cose” e “Marameo” per capire quanto le linee essenziali e creative di Bass lo abbiano influenzato.

Tutti elementi che il regista di Busto Arsizio cerca di ottimizzare per il suo debutto nel lungometraggio realizzato con la produzione Poccioni/Valsania, collaudata coppia di producer dai tempi di “Volevamo essere gli U2” di Andrea Barzini, già al lavoro per “Al posto tuo”, il prossimo film di di Croci.

“Poli Opposti” riprende alcuni elementi dai corti dell’autore, sopratutto da quelli dove le relazioni amorose sono osservate attraverso le piccole psicopatologie del quotidiano (Countdown con la Angiolini e la Signoris su tutti) e oltre ai meccanismi della commedia classica americana ci aggiunge più colore, anche in termini strettamente cromatici, grazie alla fotografia dell’ottimo Fabio Zavaron che qui recupera un estetica pop vicina a quella già sperimentata per “I baci mai dati” di Roberta Torre.

L’amore per il musical hollywoodiano, tra le passioni dichiarate da Croci stesso, si vede tutto. Nel film Luca Argentero e Sarah Felberbaum occupano spazi o ingaggiano schermaglie che in qualche modo puntano al numero musicale, anche quando questo non è esplicito come nella sequenza in cui Roma diventa Parigi e la pioggia fa da sfondo alle sagome in controluce dei due amanti, rivisitazione di un immaginario ormai assimilato, ma che Croci cerca di smarcare dalla leziosità di certe immagini rétro, tranne forse quando in due occasioni adotta soluzioni di desaturazione del colore, avvicinandosi quasi allo stile delle graphic novel e appunto dell’illustrazione.
Del resto, l’attenzione visuale del regista è assolutamente da sottolineare, non solo per l’attenzione ai colori e ai dettagli, ma anche per la composizione di alcune inquadrature costruite per orientare il ritmo o per contrarre lo spazio a favore dell’effetto comico, come i volti di Argentero e Gualtiero Burzi allineati in un bizzarro split screen visto attraverso i poggia testa usati durante un massaggio; anche in questo caso, le geometrie di Bass tornano a occupare lo schermo attraverso piccole re-invenzioni visive.

“Poli opposti” allora non solo per il duello amoroso tra Claudia e Stefano, spinto all’esasperazione del cliché, tanto che l’incipit del film nella forma della doppia intervista, cerca di introdurci da subito nella dinamica di una storia che non chiede di essere diversa da quello che promette, con il gioco delle opposizioni ritmiche che attraverseranno tutta la narrazione in termini di organizzazione del set in relazione alle performance degli attori.
Il pianerottolo del condominio, la festa, Roma scambiata per parigi, l’aula di tribunale ed infine quel gioco incrociato del destino che sembra versare in tragedia e che diventa nuovamente occasione di scontro/incontro come in un buddy movie, dimostra quanto Croci sia interessato ai meccanismi costitutivi della commedia ad ampio respiro e di derivazione statunitense, in linea con la nuova generazione di registi che producono commedie in Italia.

Manca ancora la capacità di forzare questi meccanismi fuori dai confini dell’esercizio di stile, perché al netto di una serie di attori assolutamente in sintonia con i tempi della commedia sofisticata, sembra che lo spazio occupato sia ancora troppo formale per individuare qualcosa di veramente originale e vivo, al di là dell’incastro ad effetto. La speranza è che Max Croci, grazie anche alla cultura cinematografica e visiva che possiede, sappia in futuro applicare questi stimoli per inventarsi un luogo di passaggio, uno spazio di transito che non sia troppo dalla parte dell’omaggio né troppo spinto nel gioco della distorsione post moderna. Siamo ancora molto lontani dalla verità di un sentimento che nel rispetto di una tradizione, cresca con la vitalità necessaria per farla saltare in aria.

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