Paradosso ormai sottolineato più volte, il premio Luigi De Laurentis per l’opera prima, così detto Leone del Futuro, è andato quest’ anno ad un’esordiente ‘stagionato’, come ama definirsi, che ha fatto un film le cui protagoniste sono quattro bellissime e affascinanti ultraottantenni. Gianni di Gregorio, trasteverino dalla nascita, calca oramai da molti anni i set cinematografici, da quando, come dice la sua biografia ufficiale, fu folgorato dalla visione di Mean Street di Martin Scorsese- prima si dedicava al teatro come registra e attore, diplomatosi all’Accademia di Arti Sceniche di Alessandro Fersen. Approdato al cinema, ha scritto numerose sceneggiature (soprattutto di film diretti da Felice Farina e Marco Colli) e dal 2000, dopo aver visto il suo primo film , ha collaborato con Matteo Garrone come aiuto regista per tutti i suoi film successivi, e come sceneggiatore insieme a Bracci, Chiti, Saviano,Gaudioso e lo stesso Garrone per Gomorra.
Ed è proprio Matteo Garrone, produttore del film, ad aver caldeggiato il suo esordio alla regia, suscitando in partenza l’attenzione di tutti verso un prodotto da lui ‘sponsorizzato’ e di cui la Fandango ha garantito già la distribuzione.
A Venezia il film ha splendidamente spopolato anche grazie al passaparola, richiedendo addirittura una proiezione supplementare per il pubblico e la stampa indignati per non essere riusciti a vedere quello che si prospettava uno dei film più innovativi e interessanti della Mostra.
E così è stato: Pranzo di Ferragosto è una piccola perla di piccolo cinema, piccolo ma autentico. La maestria accumulata negli anni come costruttore di storie ha aiutato Di Gregorio a intagliare in un ambiente reale-la casa e il quartiere, e anche l’amico-vagabondo soprannominato il ‘Vichingo’ appartengono alla sua quotidianità- una vicenda dolceamara che trae spunto dalla sua esperienza personale. Egli infatti si è trovato a dover accudire la propria madre anziana rimasta vedova per dieci anni, “personaggio di soverchiante personalità, circondato dal suo mondo. Pur se provato, ho conosciuto e amato la ricchezza,la vitalità e la potenza dell’universo dei ‘vecchi’. Ma ho anche visto la loro solitudine e vulnerabilità in un mondo che cammina a passo accelerato senza sapere dova va perché dimentica la sua storia, perde la continuità del tempo, teme la vecchiaia e la morte ignorando che nulla ha valore se non la qualità dei sentimenti.” ( Note di regia dal booklet ufficiale del film).
Anni fa, in un momento di difficoltà economiche, Di Gregorio si trovò veramente di fronte all’insolita richiesta del suo amministratore di condominio di lasciargli l’anziana madre per il periodo delle vacanze di ferragosto in cambio del saldo dei debiti accumulati: “ In un sussulto di dignità rifiutai, ma da allora mi chiedevo spesso cosa sarebbe potuto succedere se avessi accettato. Questo è il risultato.”
Un po’ per esorcizzare il lungo periodo ‘soggiogato’ dalla madre, un po’ divertendosi a immaginare le conseguenze di questa possibilità mancata, di Gregorio inventa questo film, che si avvale della partecipata, seppur ignara presenza di quattro rappresentanti di una quarta età molto spesso al centro di dibattiti sociali e episodi di abbandono . Le quattro signore in questione, non professioniste- due conoscenti del regista, altre due contattate attraverso il Centro Anziani di Ostia- ci tengono infatti a precisare che non erano minimente a conoscenza di dove questa pellicola volesse andare a parare, ma che fare questo film è stata una delle cose più belle che gli sia mai capitata, e non è difficile crederci vedendo lo stupore gioioso con cui hanno accolto l’ovazione che il pubblico della Mostra gli ha tributato.
Lo stesso Di Gregorio si è prestato come protagonista della vicenda, perché in realtà non c’era nessun altro meglio di lui che potesse fare la sua parte. Il Gianni del film è il figlio devoto della madre, vecchietta contegnosa, che vive come una regina nella propria abitazione, caricandolo di ogni responsabilità domestica, dalla quale, del resto, egli non tiene ad esimersi, essendo una scusa per girellare per Trastevere tra un bicchierino di bianco e uno di rosso. Il loro dorato equilibrio si romperà con l’arrivo di tre vecchiette tra loro incongrue- la madre e la zia dell’amministratore, e la madre del suo migliore amico dottore, aggiuntasi alla fine all’allegro ospizio improvvisato- rivelando i punti deboli di ognuno, stizzendo la padrona di casa, per poi vederla sciogliersi di fronte a questa nuova e stimolante compagnia di coetanee. Molte sono le trovate divertenti che svelano tic e bizzarrie di una sempre vitalissima terza età, ma il retrogusto amaro non è per niente scontato. Le richieste e assurde pretese delle signore non sono infatti che il loro riscatto per un calar di vita trascurabile, un contrappasso indotto a chi è più giovane e che, almeno sotto pagamento, deve soddisfare i loro capricci. Da canto suo il non giovanissimo custode-albergatore si divide tra acquiescenza paziente e tormentato sgomento, affrontando le continue complicazioni con il solo sostegno di un ottimo rosso, aspettando con ansia il momento in cui si libererà di questo fardello, salvo poi nuovamente cedere alle lusinghe di verdi fogli da cento.
Girato benissimo, col sostegno rassicurante della vecchia e affidabile pellicola, il film si divide tra comica leggerezza e sussulti acri, commedia delle parti in cui la riflessione sulla vecchiaia diventa docile parabola sulla solidarietà.