Alfonso Gomez-Rejon è già al lavoro per il terzo e più ambizioso dei suoi film; The Current War è il nuovo progetto della Weinstein Company dedicato alla guerra tra Thomas Edison e George Westinghouse per il controllo della fornitura elettrica negli stati uniti del 1880. Ad interpretare le due figure storiche saranno probabilmente Jake Gyllenhaal e Benedict Cumberbatch, mentre la sceneggiatura è affidata a Michael Mitnick, già con Philip Noyce per The Giver – Il Mondo di Jonas.
Il Gran premio della giuria e quello del pubblico al Sundance Film Festival per questo “Me And Earl And The Dying Girl”, tradotto in italiano nel più innocuo “Quel fantastico peggior anno della mia vita“, ha sicuramente collocato il regista di Laredo in una posizione favorevole dopo un apprendistato come assistente di Inarritu, Scorsese, Nora Ephron, Ben Affleck sul set di Argo, e dopo la regia di un buon numero di episodi per l’American Horror Story di Ryan Murphy, produttore del suo esordio nel lungometraggio, la rilettura del cinema slasher settantiano intitolata “The Town That Dreaded Sundown”.
Come nel suo primo film, Gomez-Rejon sembra ancora troppo coinvolto dalla mitologia del cinema che ama, compiendo in questo caso un passo indietro, proprio nel tentativo di staccarsene con un’operazione artificiosamente colta che guarda al cinema europeo da una prospettiva creativa e irriverente, ma che diventa a poco a poco la cornice semiotica del film. Non è tanto la presenza ingombrante della metavisione ad appesantire il film, quando l’esondazione del dispositivo nelle scelte ottiche, in quella marcata del punto di vista, nelle ardite e forzatissime prospettive che si riferiscono certamente alle invenzioni del cinema di Gondry come è stato rilevato da più parti, ma evidenziandone proprio gli aspetti peggiori e illusionistici.
Greg (Thomas Mann) ed Earl (RJ Cyler) vengono introdotti dal padre del primo al culto del cinema europeo. Nella loro adolescenza realizzeranno quindi un buon numero di remake amatoriali ispirati ad alcuni classici scegliendo un punto di vista parodico e producendo piccole elegie quotidiane come “A Sockwork Orange,” “The 400 Bros,” “Pooping Tom” e passando parte del tempo nell’ufficio del loro insegnante a guardarsi gli originali. Quando Rachel (Olivia Cooke) una delle ragazze che frequenta lo stesso istituto dei due giovani filmaker sarà costretta a ridurre la sua presenza a scuola per una grave forma di leucemia, la madre di Greg (Connie Britton) spingerà il figlio a dimostrarle empatia. Dopo alcune resistenze da parte di entrambi, Olivia e Greg instaureranno una strana amicizia che metterà al centro la creatività e i nuovi film del ragazzo come chiave di lettura delle loro rispettive realtà interiori.
Gomez-Rejon mette troppa carne al fuoco, e cerca di tradurre il racconto di formazione in un’esperienza meno lineare possibile, di fatto raggelando personaggi e sentimenti in un’ingombrante cornice visiva sempre un passo avanti rispetto alle possibilità del gesto. Si rimpiange un film come 50/50 per la vicinanza ai corpi, qui del tutto evitati tranne quando lo stop motion trafigge lo sguardo di Rachel mentre è sul punto di morte e le immagini proiettate sul muro passano attraverso la figura annichilita di Greg. È una sequenza che incontra tutto il peggio e tutto il meglio del film di Gomez-Rejon, proprio perché sovrappone la necessità di sostenerne il peso attraverso segni cinefili evidentissimi e l’irrisione degli stessi con un cortocircuito che li disinnesca, di volta in volta gioco parodico o improvviso squarcio doloroso.
In fondo, il filtro di sicurezza che il cinismo di Greg frappone tra il suo mondo fantastico e la vita sembra fatto della stessa materia del cinema di Gomez-Rejon: conservato nella torre d’avorio del collezionista.