martedì, Novembre 5, 2024

Qui e là: il neorealismo di Antonio Méndez Esparza

Il “Qui” e il “Là” del film di Antonio Méndez Esparza sono separati da una frontiera che è molto più di un limite geografico. Il “qui” è il Messico, è il paese natale che il protagonista Pedro ritrova dopo aver lavorato come abusivo negli Stati Uniti di America, il “là” diviso dalla frontiera. Pedro torna nel suo piccolo villaggio dove lo aspetta la sua famiglia, una moglie e due bambine, e con loro cerca di ricostruire una nuova vita, simboleggiata dalla nascita della terza figlia. Da una parte c’è il sogno della musica, della piccola orchestra che Pedro compone assieme agli amici; dall’altra parte c’è la necessità di sopravvivere attraverso piccoli lavori, in una zona del mondo in cui tutto è povertà, persino la polvere che avvolge le strade del villaggio dove vivono i protagonisti. Il cammino di Pedro è duro, fatto di ostacoli difficili da superare: di lavoro ce n’è poco, il parto della moglie è travagliato e Pedro dovrà spendere tutti i suoi risparmi per salvare la vita alla neonata e alla madre. Alla fine, inevitabilmente, la scelta sarà se rimanere nel Messico senza alcuna prospettiva o ritornare alla vita clandestina negli Stati Uniti.

Qui e là, opera prima di Méndez Esparza, è un film indipendente che parla di emigrazione, di lavoro, di povertà e di disuguaglianza in un continente perso tra mille contraddizioni. Temi attuali, forti, che il regista propone attraverso una sguardo intenso, per nulla retorico, che indaga l’intimo, il personale per riflettere sul generale, su una condizione sociale di iniquità che flagella il Messico e tutte le zone povere del mondo.

Film indipendente, dicevamo. Perché il miracolo di Qui e là sta proprio nella sua realizzazione. Budget minimo, attori non professionisti, distribuzione limitata (in Italia è stato proiettato in sole quattro sale). Eppure il film ha riscosso grande interesse, trionfando al Festival di Cannes del 2012 nella sezione Semaine de la critique. Méndez Esparza crea un film neorealista composto da piccoli capitoli che raccontano la parabola di Pedro, il suo tentativo di dare una dignità alla sua famiglia. Le lunghe inquadrature sono incorniciate nell’immobilità di una macchina da presa che documenta la realtà con un punto di vista impassibile dal quale non trapela nessuna istanza autoriale. Si rispetta sempre una distanza tra i personaggi e la macchina da presa, quasi a voler marcare il riguardo del regista nei confronti di una vicenda umana che viene raccontata lasciando da parte un’emotività che avrebbe stonato di fronte all’orgoglio di Pedro. Anche il “là”, l’America a stelle e strisce, rimane lontano, un’ombra sulle vite dei protagonisti, una presenza invadente, niente più. Non è la Terra promessa, l’opportunità per cambiare una vita di miseria, è solo una scialuppa di salvataggio sulla quale montare per non affondare. Perché la lotta di Pedro è tutta interna al suo Messico, è la lotta di chi non vuole abbandonare il proprio paese, di chi vuole rimanere accanto agli affetti più cari. C’è una sequenza che racchiude bene il senso del film: Pedro suona le sue canzoni alla moglie e alle figlie più grandi. Ai suoi piedi, in un piccolo cestino, le donne per scherzo posano dei soldi per spingerlo a suonare. La macchina da presa è fissa, ad altezza terra, come nei film di Yasujiro Ozu. La vitalità è interna alla cornice, è nella musica di Pedro e nelle risate delle figlie. Un quadro familiare commovente e inesorabilmente fragile, perché tra la musica di Pedro e la realtà c’è la vita, c’è la frontiera che lo spinge di nuovo verso nord. In una terra lontana ma simile alla sua, una terra di sofferenza, di disuguaglianza e di ingiustizia.

Qui e là conferma ancora una volta la vitalità del cinema messicano contemporaneo. Dopo l’exploit di registi come  Alejandro Gonzalez Inarritu e Alfonso Cuaron, ormai in pianta stabile ad Hollywood, la nouvelle vague messicana continua a stupire, proponendo cinema di qualità a bassissimo costo produttivo. Un nuovo realismo vicino ai poveri, pronto a denunciare con occhio lucido e minimalista le ingiustizie sociali di una terra dannata.

Michele Nardini
Michele Nardini
Michele Nardini è laureato in Cinema, Teatro e produzione multimediale all’Università di Pisa e ha alle spalle un Master in Comunicazione pubblica e politica. Giornalista pubblicista, sta maturando esperienze in uffici stampa e in redazioni di quotidiani, ma la sua grande passione rimane il cinema

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