Esiste una relazione tra il restauro digitale promosso dalla Cineteca di Bologna per recuperare i grandi capolavori del cinema e l’ostinazione quotidiana di alcuni agricoltori italiani nel preservare un’agricoltura sostenibile? Secondo Jonathan Nossiter, regista del documentario Resistenza naturale, sì. A dieci anni di distanza da Mondovino, il regista americano torna ad analizzare il mercato del vino, concentrandosi stavolta sulla produzione italiana. Il viaggio di Nossiter tocca le Marche, la Toscana, l’Emilia-Romagna e il Piemonte e fa capolino nelle aziende vinicole che ancora non si sono arrese alla mercificazione e all’industrializzazione del vino.
Così come accade nel cinema, con il recupero del passato che diventa fonte di conoscenza e di insegnamento per il futuro, la battaglia di Corrado, Giovanna, Elena e Stefano, viticoltori con un profondo rispetto della natura, parte proprio dal rapporto e dal dialogo con la tradizione, l’unico modo per conservare un’autenticità di fronte alle normative globalizzate volute dall’Unione Europea, che finiscono per mortificare la qualità a vantaggio degli interessi economici.
Quello di Nossiter non è un documentario d’inchiesta, è piuttosto un percorso che vuole informare lo spettatore su temi quanto mai attuali, come quello della trasformazione della produzione agricola. Ecco che denuncia e informazione si mischiano, senza andare ad indagare gli interessi che si nascondono dietro le scelte politiche degli stati europei. Si scopre così che la salvaguardia del marchio DOC, una volta sinonimo di qualità, è in realtà solo il rispetto di una serie di canoni generici che possono essere raggiunti anche attraverso l’uso massiccio di sostanze chimiche. E proprio nella battaglia etica e naturale tra un’agricoltura che rispetta il territorio e un’agricoltura invasiva sta il senso del lavoro di Nossiter: nella sequenza in cui un viticoltore mostra la differenza tra un terreno sul quale sorgono vigneti trattati con sostanze chimiche e un terreno sul quale, al contrario, si utilizzano metodi naturali, emerge la considerazione più sincera (e semplice) che il film vuole affermare: il recupero della terra e della produzione naturale sono elementi centrali del nostro benessere fisico. La sostenibilità è quindi ancora una soluzione possibile, malgrado gli spazi di manovra siano sempre più ridotti da politiche controllate dalle grandi holding.
Fino a qui i temi di un lavoro che mostra la sua originalità nella struttura del racconto. Nossiter alterna le testimonianze dei viticoltori con immagini di repertorio che attingono alla storia del cinema e agli archivi della televisione. Lo spettatore passa così, senza soluzione di continuità, dal colore del presente al bianco e nero di film come La febbre dell’oro, Roma città aperta, Au hasard Balthasar, alle immagini sbiadite dei cinegiornali dell’Istituto Luce e di indimenticabili documentari sull’Italia rurale e popolare come Chi legge di Mario Soldati e Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini. Accostamenti forti, spregiudicati, in cui tutto sembra scollegato. E invece la risposta è dietro l’angolo. Come ci suggerisce il titolo, il documentario di Nossiter parla di resistenza, di un’ostinata resistenza contro le leggi di un mercato che non rispetta più la terra. Quella stessa resistenza che, in tutt’altro ambito, serve al cinema d’autore per trovare voce e spazio. Quella stessa resistenza che serve a GianLuca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna e protagonista del documentario, per riesumare e trasportare in digitale i grandi capolavori della storia del cinema. Perché tra il restauro di un’opera cinematografica e la realizzazione di un vino non c’è poi così tanta differenza. Basta imparare ad apprezzare le cose belle. E, soprattutto, a rispettarle.