domenica, Dicembre 22, 2024

Room di Lenny Abrahamson: la recensione

Jack (Jacob Tremblay) è un bambino di cinque anni che vive dalla nascita in un capanno di 3 metri per 3 con la madre Joy (Brie Larson), rapita sette anni prima e tenuta in segregazione totale da Old Nick (Sean Bridgers) un orco di quelli che le cronache degli ultimi anni hanno portato alla ribalta, sequestratori a lungo termine e procreatori in cattività di piccole nidiate.
Ma, va subito detto, per buona metà del film l’aggancio con la cronaca non è impellente, il focus è tutto sul legame madre/figlio, sulla percezione della realtà che nel bambino si sta sviluppando e sulla mediazione che Joy è riuscita a mettere in atto nei cinque anni di vita in cui Jack ha imparato ad entrare in rapporto con le cose.

Tema estremamente intrigante e trattato con attenzione degna di un buon osservatore dei processi di formazione dell’immaginario infantile, purtroppo cambia radicalmente registro quando i due trovano il modo di uscire dal capanno. La prigione si trova nel cortile della casa di Nick, solo lui conosce la combinazione della porta blindata e unica fonte di luce è un lucernario da cui entra un pezzetto di cielo. Può capitare che una foglia ingiallita portata dal vento si appoggi sul vetro per un po’ e un raggio di sole arrivi a scaldare quel piccolo mondo fatiscente e ingombro di tutte le cose che una vita prevede, dal letto al lavandino, dal water al tavolo, al fornello del gas, ai giocattoli, al grande armadio dove il bambino dorme rinchiuso quando arriva l’orco Nick e il suo posto nel letto della mamma è preso da lui.

Ma nulla più, il mondo esterno è out, chiuso fuori, impenetrabile da sette anni. Joy ne aveva diciassette quando fu rapita e da allora sparì dal mondo.
C’è un televisore, sullo schermo passa di tutto, fiction e animazione, reality e fantasy, in un miscuglio indifferenziato che farebbe la felicità degli studiosi di psicologia dell’età evolutiva per misurare il grado d’influenza della televisione sulla crescita mentale in contesti di povertà e deprivazione.
Un’altra presenza interessante è la copia di Alice’s Adventures in Wonderland che circola per la stanza, molto utile a Joy, psicoterapeuta per necessità e mamma per vocazione, per riempire il gap tra realtà e finzione che sta arrivando a livelli di guardia nel suo cucciolo.
Jack sta crescendo, infatti, in un mondo a parte, come il piccolo Mowgli del Libro della giungla.

A suo modo è un bambino sereno e giocoso, ma come Mowgli è un drop-out : l’educazione che Mowgli riceve dai lupi non è sufficiente a farne un figlio della foresta, le amorevoli cure di Joy non sono sufficienti a preparare l’uomo di domani. La “stanza”, così è chiamato il lurido tugurio, è un mondo claustrofobico e artificiale nel quale tutto viene elaborato come reale. La dimensione mitica “circolare”, quel limbo amniotico in cui un bambino vive fino ai cinque anni circa, è inevitabilmente destinata a frantumarsi prima o poi nella linearità della storia, quando l’approdo alla libertà, nelle condizioni in cui si verifica, non potrà che essere traumatico.

Ed è qui che il film comincia a non funzionare. La tensione compatta del thriller claustrofobico avrebbe avuto bisogno di un cambio di ritmo o di un’invenzione che questo film non ha, naufragando invece in modo decisamente imbarazzante, per un’altra ora, nella ricerca di pathos a tutti i costi e in una fiera del ricatto emotivo che rende irriconoscibili i personaggi. Il bambino si adatta fin troppo facilmente alla nuova vita, anzi, diventa un piccolo saggio decisamente poco credibile e perfino un tantino antipatico. Chi perde i connotati è Joy, e pur se è cosa comprensibile dopo sette anni di prigionia sviluppare tutta una serie di reazioni isteriche, il film ci sguazza dentro davvero troppo e non stiamo leggendo un trattato di neuroscienze.

E’ come se Carrol prendesse Alice, la facesse tornare a casa dopo anni di inspiegabile e traumatica assenza, quindi si sedesse in salotto a registrare le reazioni della famiglia, sua madre in particolare, raccontandoci, con buona e costante ricerca di effetto, la fase di riadattamento alla vita normale della vispa fanciulla.
E tutto nello stesso romanzo. Inaccettabile.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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