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Run all Night – una notte per sopravvivere di Jaume Collet-Serra: la recensione

Per Brad Ingelsby, quella di Run all Night è probabilmente la seconda sceneggiatura importante dopo il crepuscolare “Il fuoco della vendetta” (out of the furnace). E la descrizione di personaggi non riconciliati, filmati con-tro il paesaggio, è una costante che rimane intatta, anche nella differenza radicale tra il cinema contemplativo di Scott Cooper e quello adrenalinico di Jaume Collet-Serra, qui al suo terzo noir con Liam Neeson al centro di una lotta sul bordo del tempo alla Dead On Arrival. E sull’essere già morti, ruota tutta l’indolenza di Jimmy Conlon (Liam Neeson), ex killer ai margini di una famiglia mafiosa, la cui serenità poggia le basi sulla lunga serie di delitti che l’assassino irlandese ha collezionato per garantire il successo di Shawn Maguire (Ed Harris) il boss che ha costruito il suo impero in una New York completamente marcita e che ha sostituito la famiglia naturale di Conlon.

Il personaggio interpretato da Neeson, più che far fede alla svolta action dell’attore di origini nordirlandesi, è il terzo con problemi di alcolismo e che dopo Non-stop dello stesso Collet-Serra e A Walk among tombstones di Scott Frank, film ambientato in una New York ugualmente alla deriva, incarna quello spirito indolente, individualista e disperato che in parte proviene dal cinema di Don Siegel e che sopratutto in Run all Night ha più di un riferimento con il recente The Equalizer, al netto di una moderazione ipercinetica che nel cinema di Collet-Serra è semplicemente funzionale e che se da una parte osa un vitale sconfinamento, dall’altra si allinea alla velocità decorativa dei dolly impossibili rielaborati in CGI da una prospettiva videoludica un po’ rabberciata.

Niente di così invasivo ma che talvolta ha il difetto di sabotare un film che al contrario si muove in modo efficace nel continuo ricombinarsi dello spazio urbano come ambito dove la famiglia è un nucleo sotto assedio, schiacciato tra le leggi del crimine e quelle di uno stato che ormai si confonde con esso, basta pensare alla bellissima sequenza dove Conlon si nasconde insieme al figlio in un palazzo popolare assediato dalla polizia e da uno spietato killer munito di dispositivo per la visione notturna.

Pur non facendosi carico della stratificazione politica e iconologica del film di Fuqua, Run All Night mette fortemente in relazione l’anima duellante del racconto in una città che non ha più margini di sicurezza; Collet-Serrat si sofferma senza forzature didascaliche sulle immagini dei senza tetto, osservati di sfuggita nella città notturna, luogo senza speranza e illuminato da una luce livida, fotografata dall’occhio del talentuoso Martin Ruhe, direttore della fotografia tedesco a fianco di Anton Corbijn per Control, ma sopratutto autore delle immagini cineree filmate nella periferia londinese di Harry Brown.

Tutto il confronto tra Jimmy Conlon e Shawn Maguire si basa su un’amorosa e inesorabile promessa di morte, passare la soglia insieme per sigillare un patto le cui radici affondano nel sangue; Jimmy Conlon, morto tra i morti, emarginato dal suo stesso mondo, Bad Santa alcolizzato, può riscattare le sue colpe trasformandosi nuovamente in una macchina per uccidere scorgendo a distanza quella che avrebbe potuto essere la sua vita famigliare, mentre in riva ad un lago il figlio gioca con la moglie e i bambini.

Nello scontro finale e anti-epico che ricongiunge i due “fratelli” nel crimine in un ultimo abbraccio, la skyline della città lontana di cui non possono avere più il controllo fa da sfondo a quello stesso mondo in disfacimento che occupa le anime di Out of the furnace. Al volto stanco e scolpito nel legno di Sam Shepard, alla narcolessia di Christian Bale e all’inadeguatezza di Willem Dafoe, corrotto suo malgrado, si aggiungono i corpi e i volti dolorosi di Neeson/Harris, il cui andamento è regolato dalle leggi di una terra di morti.

 

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