domenica, Novembre 24, 2024

Saremo giovani e bellissimi di Letizia Lamartire: la recensione in anteprima

Di venerdi continuavo a fare la cameriera e il lunedi ero nel business della musica. Lesley Duncan si raccontava così a Ian Chapman in una delle sue rare interviste. “Forse persa” in un mondo di uomini, ci raccontava Michele Faggi nell’unico approfondimento che è possibile leggere sulla grande e dimenticata folksinger britannica, affrontava produttori miopi ed avidi, rockstar sul punto di esplodere e persino un fratello ingombrante ed egoista. Donna autonoma, padrona del proprio repertorio quando era ancora impensabile, lo ha difeso da espropriazioni anche critiche, raggiungendo la desertificazione di ogni gesto, postura, segno, per poi lasciar perdere lentamente ogni traccia di se. All’involucro della musica pop ha sovrapposto una ricerca del vuoto che corrisponde con quella della “verità”.

Bisogna riconoscere a Barbora Bobulova la straordinaria capacità di cogliere questa stessa sconnessione tra i relitti dell’industria e una creatività mai riconciliata, con uno sguardo e una dolorosa indolenza che trafiggono, mentre sviluppa le caratteristiche di un personaggio che è l’opposto della Duncan, per il suo costante bisogno di figure maschili che ne determinano il destino, ma che ha più di un punto di contatto con quell’inesorabile dissolvenza di cui parlavamo. Sul suo continuo dibattersi fuori luogo e fuori tempo si regge tutto il film di Letizia Lamartire, che avrebbe potuto essere altra cosa se si fosse legato con più coraggio a questa discesa verso il basso di tutti i sogni “popular”.

Il “Big Star”, spazio niente affatto simbolico di un paese-provincia sospeso tra balere e talent show, ha quella bonomia famigliare troppo vicina a certi modelli televisivi, non importa se disfunzionali o meno. All’interno, Lamartire cerca di concentrare tutto, dal rapporto complesso e sul crinale dell’incesto tra Isabella (la Bobulova) e il figlio Bruno (Alessandro Piavani), fino al difficile passaggio all’età adulta di questo, attraverso l’incontro con Arianna (Federica Sabatini), la chitarrista/cantante che riempie il piccolo locale di Comacchio. Una dimensione che sostituisce quella di piazza e che ferisce davvero quando si svuota, mentre Isabella, costretta a cantare da sola su base una delle canzoni scritte da Matteo Buzzanca per il film,  fende l’aria con una gestualità sciamanica rivolgendosi ad un locale senz’anime, immersa nello spazio illuminotecnico con la qualità di una fata morgana.

Questo svuotamento, vicinissimo alla condizione “indicibile” in cui si trova non solo la cosidetta musica d’autore, ma anche quella legata ai fasti irripetibili dell’eurodance anni novanta, lo si percepisce in rari momenti, con il resto del film affidato agli esiti di un piccolo melodramma che a un certo punto si abbandona alla rappresentazione puerile di una realtà senza più quelle caratteristiche, ridotta ad una sequenza di macchiette. Ecco che Lamartire lascia spazio all’ostinazione di Bruno che cerca di tirare avanti la baracca pensando agli ingaggi per la madre, portandosi dietro il CD di “Tic Tac”, il singolo che nei novanta aveva decretato il successo di Isabella. E ancora, I locali che rifiutano una musica che “non funziona più e non produce pubblico”; Bruno mentre porta a termine la scrittura di un brano lungo tutta la durata del film, come traccia affettiva sospesa tra l’amore per la madre e quello per Arianna; l’ispirazione per una nuova stagione creativa ed infine la scelta tra l’emancipazione dei propri desideri e il superamento di una linea invalicabile nell’equilibrio del rapporto con Isabella.

Energie che rimangono sopite, incapaci di raccontarci ciò che conosciamo, oppure l’oscenità dei sogni rispetto ad un “paese reale” modellato sulle regole della fiction televisiva. L’ultimo tentativo italiano (o apolide italiano) che spezzava i confini della famiglia tradizionale con la distruzione creativa del punk, sospeso tra la vita e la morte e proiettato verso un viaggio dall’orizzonte incerto era un film ormai dimenticato, girato negli anni ottanta da Peter Del Monte. Lamartire, distante decenni da quelle suggestioni, abita l’impostura ipermediale del presente con un film che ne subisce irrimediabilmente le influenze peggiori. 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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