martedì, Novembre 5, 2024

Scott Pilgrim vs the World di Edgar Wright (Canada/GB, 2010)

Terzo film per Edgar Wright tratto dalla saga cult a fumetti Scott Pilgrim vs the world, la recensione di Alfonso Mastrantonio...

Al suo terzo lungometraggio , Edgar Wright si conferma alfiere di una grammatica cinematografica a banda larga, imbevuta di cinefilia e gusto per la trovata in ogni fotogramma, spesso capace di indicare nuove strade attraverso il riutilizzo di pratiche narrative usuali e per questo potabili per il grande pubblico. Un lavoro divertito e divertente sulla portata di stimoli ed echi transmediali in una sola inquadratura che è indubbiamente debitrice dello spirito di Tarantino, ma che a differenza di molti Tarantinoidi, non ha cannibalizzato i medesimi immaginari, indirizzandosi sullo stridore tra personaggi iper-ordinari e accadimenti di pasta cinematografica. Dopo aver affrontato con rara intelligenza e rispetto per i meccanismi di genere la parodia dei film di zombie (Shaun of the dead) e di quelli polizieschi (Hot Fuzz), il regista britannico si è cimentato nell’adattamento per il cinema della saga cult a fumetti Scott Pilgrim vs the World, dove il ventiduenne protagonista, sfaccendato bassista di una garage band di Toronto, si trova ad inseguire l’amore della sua vita lungo un percorso a livelli in tutto simile a quello dei videogiochi platform, affrontando come mostro finale di ogni livello un malvagio ex della sua amata. Generi cinematografici (rom-com e arti marziali in primis), fumetto, immaginario dell’indie-rock (colonna sonora curata da Nigle Godrich, produttore dei Radiohead) e soprattutto  dei videogiochi dialogano per un’ora e mezza attraverso una serie di trovate che ne fanno brillantemente entrare in risonanza gli universi mediali. l’intesa amorosa misurata attraverso l’intesa coreografica nei videogames ritmici, gli imbarazzi relazionali sottolineati dal fischio dei microfoni, la logica di apprendimento dagli errori attraverso la reiterazione garantita dalle “vite” video ludiche, sono solo una piccola parte delle innesti praticati, testimoni di un utilizzo a 360° del cinema come mezzo di espressione che viene ad investire anche la componente grafica (didascalie, onomatopee e grane pixelate)  e quella del formato (cambi di ratio dai 16:9 al cinemascope in corrispondenza delle scene di azione) del film. Una cura del particolare e un gusto nell’ideazione giocosa che rende ogni inquadratura una potenziale scena-madre o punto di svolta della narrazione: i primi venti minuti del film sono esemplari per come riescono posizionare all’attenzione dello spettatore una quantità di accenni e caratterizzazioni del mondo di Scott che vengono riprese una per una nel restante svolgimento del film e per le quali il regista medio avrebbe avuto bisogno di un altro paio di ore di racconto a disposizione. A livello di decor, di costumi e colonna sonora, ulteriori dettagli particellari e ridondanze che si colgono solo ad una seconda visione del film e che sono utili a compiacere la sempre più diffusa componente “nerd” dello spettatore cinematografico. Il dubbio è che proprio questa componente finisca per fiaccare il film agli occhi dei non-tanto-entusiasti del garage rock, della saga di Zelda o del fumetto da cui è tratto, tenendo anche conto del fatto che le scene d’azione vengono minate nel loro epos da una serie di anticlimax ironici che alla lunga possono infastidire. Pur ricchissimo visivamente, Scott Pilgrim dà forse il meglio di sé nella fruizione da cameretta piuttosto che in quella da sala, con il prezioso sostegno di un cursore digitale con cui vedere e rivedere le scene per bearsi sornioni dei mille richiami all’immaginario del tardo-adolescente della fine degli anni ‘90.  In questa dimensione si è forse eccessivamente voluto rintanare Wright, forte di un’aurea di cult preventivo che gli assicurava una base di strenui appassionati su cui si è adagiato, per nulla aiutato sull’altro fronte dalla distribuzione italiana, che non ha dato alcuna fiducia al film, relegandolo ad una distribuzione pomeridiana solitamente riservata a film di animazione di scarso richiamo (tra i quali, parlando di miopia distributiva, dovremmo includere anche i film di Miyazaki, a quanto pare). Un caleidoscopico guilty pleasures, che ognuno dei fan delle nicchie mediali in esso convocate farebbe bene a recuperare, più facilmente sotto forma del DVD di prossima uscita.

Alfonso Mastrantonio
Alfonso Mastrantonio
Alfonso Mastrantonio, prodotto dell'annata '85, scrive di cinema sul web dai tempi dei modem 56k. Nella vita si è messo in testa di fare cose che gli piacciano, quindi si è laureato in Linguaggi dei Media, specializzato in Cinema e crede ancora di poterci tirare fuori un lavoro. Vive a Milano, si occupa di nuovi media e, finchè lo fanno entrare, frequenta selezioni e giurie di festival cinematografici.

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