mercoledì, Novembre 20, 2024

Selma – La strada per la libertà di Ava DuVernay: la recensione

Biopic su Martin Luther King, prodotto da Oprah Winfrey e Brad Pitt, alla regia Ava DuVernay, Selma – La strada per la libertà, si muove in Alabama, fra la piccola città di Selma, dove il sopruso a spese dei neri era pratica quotidiana, e la capitale dello Stato, Montgomery, sede del reazionario governatore Wallace, l’osso più duro da affrontare; a questo proposito eccezionale Tim Roth, la maschera del perfetto borghese nutrito di odio razziale allo stato puro, che riesce a sembrare un tranquillo gentleman che lavora per una nobile causa.

Il racconto è circoscritto al 1965, un breve frammento di quella lunga storia di militanza che valse a Martin Luther King il Nobel per la pace nel ’64 e la morte violenta nel ’68.
Qualche trasferta a Washington per trattare col Presidente Lyndon Johnson e l’incipit a Stoccolma per la consegna del Nobel, quindi si torna a Selma, dove la popolazione nera tenta a più riprese di iniziare una marcia non violenta per manifestare contro ciò che, di fatto, le impedisce di esercitare il proprio diritto di voto.

Una legge imperfetta che concedeva tale diritto infatti c’era, ma di quelle che sarebbe meglio non ci fossero perché facili da aggirare e impossibili da sanare se non con un colpo di spugna.
La richiesta pressante di una modifica legislativa da parte di  Luther King ad un titubante e farraginoso Lyndon Johnson non ebbe risultati immediati, bisognò che ci fosse il cosiddetto bagno di sangue e, soprattutto, che i media mostrassero alle platee di tutto il mondo cosa succedeva nel profondo sud degli States.

Il pressing di un’opinione pubblica planetaria non è cosa che si possa sottovalutare e fu così che, dopo lunga titubanza e scontri fra polizia armata e neri inermi, la modifica alla legge venne finalmente varata. Sulle  vicende successive dei vari personaggi le didascalie danno notizie essenziali  in una carrellata finale , nessun commento, solo i fatti nella loro cruda verità.

Che il razzismo sia una questione ancora aperta e non venga proclamato a chiare lettere  è una delle critiche mosse al film, colpevole, a detta di alcuni, di facile trionfalismo. Neppure è bastato il taglio realistico, basato su una ricostruzione documentaria rispettosa delle posizioni di ognuno, focalizzato sul personaggio centrale ma altrettanto motivato a dar risalto a donne e uomini intorno a lui, così da farlo apparire più comprimario che leader assoluto.

Sul ruolo a dir poco tentennante di Lyndon Johnson nella vicenda non tutti concordano; problemi ha creato la citazione dei discorsi di King, protetti da copyright in mano ad eredi (i figli) sembra in lotta tra loro; l’attualità ancora bruciante di gravi fatti recenti come quello di Ferguson, per molti aspetti simili a quelli di mezzo secolo fa, ha creato tensioni e malumori in strati dell’opinione pubblica poco disposti all’autocritica,  molto, insomma,  ha collaborato a circondare il film di polemiche, nonostante le nominations all’Oscar.

Allo spettatore, dunque, il giudizio finale sulla scommessa di DuVernay di fare cinema con i documenti, le figure o le tracce della storia. Quella che la regista racconta è  una tappa delle grandi saghe del secolo scorso, il protagonista uno dei giganti che ne hanno segnato lo sviluppo.

Eppure il dottor King (così si rivolgono a lui tutti, dal primo, il presidente degli Stati Uniti, all’ultimo, il vecchio nonno dell’Alabama che piange il nipote ucciso dalla polizia) non è il solito santino per devoti fedeli né il suo apostolato profuma d’incenso.

Merito di una regia dotata di sano distacco dalle cose è aver ricostruito con toni sobri il clima di un momento storico fatto di tante voci, umori, spinte eroiche e inevitabili cadute.

Al dottor King dà la misura giusta la recitazione di David Oyelowo, che demitizza il personaggio a favore di un’intensa caratterizzazione umana. Lo affiancano interpreti tutti profondamente calati nei ruoli, parte integrante di un affresco epocale che continua a sconvolgere per la coesistenza di quei margini estremi che la storia dell’uomo riesce spesso a lambire: la profondità della sua ignoranza omicida e l’altezza del suo eroismo libertario.

Quello che arriva ora sullo schermo è dunque un onesto e doveroso riconoscimento della grandezza di un uomo e della dignità di un popolo.

Ai momenti di vita pubblica e alle occasioni d’incontro con i cosiddetti Grandi della Terra, si affiancano, più spesso, momenti di vita privata in cui cedimenti, stanchezze e dubbi si affollano e spingono verso il fondo. Luther King nel suo presente, a fianco dei suoi amici e seguaci, con la sua donna e quei figli a cui è necessariamente mancata la sua presenza costante, finisce per recuperare una dimensione umana ignorata da tutti, senza però perdere nulla del carisma che ne fece un leader di incredibile forza.
Nel suo andare avanti non violento e determinato, in un’epica del quotidiano che fu capacità di soffrire con il suo popolo e di dire questa sofferenza con la pacata grandezza di cui l’uomo è capace, converge il magistero dei grandi Maestri della storia che l’hanno preceduto.
Riaffiorano molto da vicino le parole di un lontano Discorso ai giovani (Albi, 1903) di Jean Jaurés:

Il coraggio è dominare i propri errori, soffrirne ma senza venirne schiacciati e proseguire il proprio cammino. 
Il coraggio è amare la vita e guardare la morte con occhi tranquilli; è ricercare l’ideale e capire il reale; è agire e votarsi a grandi cause senza sapere quale ricompensa l’universo profondo darà al nostro sforzo, né se vi sarà mai alcuna ricompensa…”

Sono questi i temi che tornano nei brani selezionati dai discorsi, ma quel che più risalta è la lungimiranza della sua azione politica, la determinazione ad incidere nel profondo del sistema legislativo come unica possibilità per il suo popolo di tutela autentica.

E’ alla sua profonda intelligenza unita ad una umanità non aliena da cedimenti che il film vuol dare spazio, anche se sul piano emotivo ciò che tocca nel profondo sono le scene di massa, quelle bellissime riprese sul ponte, così duro da attraversare, con la paura, la violenza, l’attacco e la resa, in un turbinìo di masse, colori, spinte, vertigini, urla e spari.
Ancora e sempre Guernica.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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