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Senna di Asif Kapadia (Gran Bretagna, 2010)

Ayrton Senna da Silva incontra la morte il primo Maggio del 1994, durante il Gran Premio di San Marino. Il giorno dopo, in classe, un mio compagno chiede un minuto di silenzio in memoria del pilota. Tutti lo osservano rigorosamente, me compreso che di Formula 1 – allora come adesso – non capisco assolutamente niente. Nel mio immaginario di bambino quel nome e quel volto sono presenti, ma in maniera sfuocata. Ciononostante, la notizia mi provoca un certo turbamento, un vago senso di incredulità. La stessa confusione sperimentata appena un mese prima, in occasione del suicidio di un altro illustre sconosciuto, il cantante biondo di quel gruppo americano che piace tanto a mio fratello.
Alcuni individui riescono a trascendere i confini dell’ambito specifico in cui si muovono: carichi di una valenza simbolica tanto elevata da trasformarli in vere e proprie icone culturali, si imprimono nella memoria dei posteri come istantanee dell’epoca a cui fanno riferimento. Il fascino di una personalità fuori dal comune può rivelarsi un irresistibile polo d’attrazione per chiunque sappia coglierne l’essenza. Ayrton Senna è indubbiamente ascrivibile ad una categoria umana molto particolare. Il carisma sprigionato dal suo personaggio ha dato vita ad una mitologia specifica, che estende la propria influenza ben oltre il settore della Formula 1. Basterebbe questa premessa per pronosticare il successo commerciale della pellicola di Asif Kapadia. Tuttavia, bisogna ammettere che Senna è anche e soprattutto un ottimo prodotto, un esempio di grande cinema che mira al cuore senza mai risultare patetico o fuori luogo. Un’impresa ben più ardua di quel che si potrebbe immaginare, dal momento che stiamo parlando di un documentario, basato esclusivamente su interviste e filmati d’epoca. La lunga gestazione che ha preceduto la stesura dello script rivela il carattere sui generis dell’opera, concepita dal produttore James Gay-Rees e dallo sceneggiatore Manish Pandey a partire dal materiale d’archivio della Formula One Administration. Dopo un’accurata selezione, è stata approntata una griglia narrativa che riassumesse, in poco più di un’ora e mezzo, i dieci anni più significativi nella vita del pilota. Raggiunto questo primo obbiettivo, non è stato difficile perseguire gli scopi che i due si erano posti: la parabola esistenziale dello sportivo brasiliano contiene elementi a sufficienza per inscenare un meraviglioso poema epico. Anzitutto, un protagonista a cui è impossibile non affezionarsi: bello come un attore, talentuoso, ribelle ma leale verso il prossimo, dotato di una fede incrollabile. In secondo luogo, un antagonista d’eccezione come Alain Prost: riflessivo e calcolatore, si rivelerà la nemesi storica di Senna, arrivando in più di un’occasione ad insidiare la sua posizione in classifica. La figura del dirigente sportivo Jean-Marie Balestre, invece, è funzionale a rappresentare il lato oscuro del Grand Prix, un mondo cinico a cui si contrappone la genuina competitività del pilota. Anche la tragica fine dello sportivo – l’ultimo, nella storia della Formula 1, a morire in pista per una fatalità – viene inquadrata in un’ottica messianica che ben si addice alla spiritualità del personaggio. Quello di Senna è il destino di un martire, profetizzato dalla morte del collega Ratzemberger e abbracciato quasi con rassegnazione. A corollario di quanto detto finora, è d’obbligo sottolineare l’attenzione che gli autori riservano al toccante rapporto fra Senna e il suo paese d’origine, quel Brasile già uscito dall’incubo della dittatura militare ma ancora oppresso da profonde disuguaglianze economico-sociali. Un paese sfiduciato, che in Senna identificherà ben presto un catalizzatore di energie positive, un eroe nazionale capace finalmente di riportare la speranza nel cuore degli uomini.

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