domenica, Dicembre 22, 2024

Casotto di Sergio Citti – il film che i critici non hanno visto (tranne uno)

Oppure il volermi definire come naif,
che io non sapevo nemmeno cosa volesse dire naif…

Sì, sarò ingenuo, però onesto

almeno mi chiamassero l’onesto.
Come si dice onesto in francese?

Sergio Citti
Una spiaggia, il mare, un vento noioso che impedisce ai cerini di rimanere accesi almeno il tempo necessario per appiccare il fuoco su una sigaretta. Ninetto Davoli saltella tra le dune, incespica nei cespugli, si abbassa contorcendosi per cercare l’angolazione favorevole, ma il vento è insinuante, i cerini si sprecano, ne rimane solo uno ed un’unica possibilità. Il folletto Davoli vede un gruppo di cabine (casotti, in romanesco, perchè grandi quasi come monolocali e pronti ad accogliere più bagnanti) , un lampo più furbesco del solito gli illumina il volto, si infila in un casotto a caso, e, protetto dalla parete di legno, finalmente dà fuoco alla sigaretta. Soddisfatto, esce, chiudendosi la porta alle spalle. Siamo soli. Il Destino del film ci ha portato qui, ed è un Caso. Adesso, però, già che ci siamo, non ci resta che stare a guardare. La macchina da presa compie una panoramica a 360 gradi su sé stessa: ecco il casotto, vuoto, anonimo, un microcosmo inutile e silenzioso, da cui, però, non usciremo per i prossimi 100 minuti.

L’idea di girare Casotto viene a Citti guardando la televisione, una sera, a cena. Davano un film: Una domenica d’agosto, di Luciano Emmer, ambientato sulla spiaggia di Ostia.  “C’era una spiaggia, degli attori, e ho visto questi due protagonisti in primissimo piano davanti alla macchina da presa che facevano di tutto per dire delle bugie, delle cose senza senso, mentre giù in fondo, sicuramente nascosto fuori campo, c’era un aiuto regista che faceva muovere queste comparse che passavano e andavano; dietro c’era anche gente che andava nelle cabine e dopo un po’ sortiva; era una lunga sequenza e io mi sono incuriosito a guardare quelli lì che funzionavano dietro, e ho detto: beh! Quelli lì stanno a fare la cosa più onesta di tutti; e che staranno a fare? Ecco quello è entrato in quella cabina: che starà a fare? quello è uscito, quello passa. M’ha incuriosito la cosa, e ho voluto fare una storia su quelli che non fanno niente.” (Conversazione con Sergio Citti di Mauro Paganelli.)

In realtà Citti non elimina la storia- per lui il Cinema non può esistere senza narrazione- ma elegge le quinte dell’azione a palcoscenico, mettendo a fuoco lo sfondo, perché la sua idea è che un gruppo di comparse può ‘funzionare’, appunto,   più di due attorononi che gigioneggiano in primo piano.

La differenza sta, probabilmente, nel punto di partenza, per cui non è la macchina da presa che va alla ricerca della storia, ma il materiale narrativo è trattato come se la storia capitasse accidentalmente davanti alla macchina da presa, e si spezzettasse nel lasso di tempo che ci vuole per cambiarsi d’abito o consumare un pic nic.

Girato interamente in studio -apparte la prima scena, la sabbia e il mare scompaiono dal film, non ne costituiscono la materia visiva-  Casotto  si avvale in realtà di un gruppo di attori poco abituati a recitare nel ruolo di comparse: da Mariangela Melato a Gigi Proietti, Franco Citti, Ugo Tognazzi, Michele Placido,  Paolo Stoppa, fino all’assurdo di una Jodie Foster appena sedicenne e fresca di Oscar per Taxi Driver, e un cameo onirico di Catherine Deneuve. Apparte la giovane Foster, che accettò inaspettatamente la parte perché stimava i film precedenti di Citti, quasi tutti recitarono gratis. A spingerli era l’affetto e la stima  nei confronti di Citti, e probabilmente, anche il debito nei confronti del suo maestro e scopritore, Pierpaolo Pasolini, scomparso da pochissimo. Del resto le maestranze sono quasi tutte ‘riciclate’ per risparmiare soldi e tempo da quelle usate in Salò e le 120 giornate di Sodoma, film che, come ricorda Citti in un’intervista, avevano proposto a  lui (scrisse infatti la prima sceneggiatura), e che rifiutò per paura “Io lo avrei fatto ancora più cattivo, anche perché a me stanno antipatiche le vittime, e l’avrei fatto tutto dalla parte dei carnefici, facendoli interpretare da tre comici.” (Detti e contraddetti, Conversazione con Sergio Citti, di Sergio Toffetti). Casotto, invece, è tutt’altro film, con tutt’altro tono, anche se l’apparente leggerezza nasconde una riflessione sulla contemporaneità amara e  disillusa. Del resto uno dei pochi registi che Citti ammetteva di apprezzare tantissimo (e di cui aveva visto quasi tutti i film, cosa rara per lui, che andava malvolentieri al cinema) è Marco Ferreri, anche se la cifra emotiva del nostro non sarà mai così atroce, così lucidamente pessimista. Il perturbante sorge, nei film di Citti, e in particolare in un film così apparentemente ‘cameratesco’ come Casotto, dalla brutalità quasi infantile, primitiva con cui vengono presentati i sentimenti umani ridotti alla loro natura elementare, ai bisogni primari: la fame, il sesso, l’avidità, vestiti da personaggi che sono soprattutto corpi, materia viva e vibrante di bisogni, più che di sogni. La nudità a cui vanno incontro dirigendosi verso lo spogliatoio rappresenta la liberazione dalla maschera civile che la società richiede, una volta spogliatisi non ha più senso fingere: le due ragazze abbordate hanno solo fame, i due benzinai hanno solo fame di sesso e di panatine, i due amanti attempati hanno solo voglia di fare all’amore, le due donne disinibite vogliono solo soldi, i due nonnetti cercano soltanto un matrimonio riparatore per la nipotina incinta. Gli unici due personaggi che vorrebbero coltivare la propria santità, un prete e l’assicuratore timorato di Dio e ossessionato dalla castità, sono invasi,violentati dal corpo,il primo dal  proprio,  ritrovandosi con due peni da nascondere ,doppia potenzialità sessuale che non potrà mai usare,  il secondo dal corpo altrui, travolto letteralmente dalle furbesche tentazioni delle due avvenenti truffatrici.

La tragedia, qui, sta nel tormento  del bisogno e nel generarsi dell’ insoddisfazione , ma la pesantezza non c’è. Concordo, a questo proposito con quanto ha scritto Maurizio De Benedictis: “Il regista di Casotto si riprende il narrare e lo apre ad una leggerezza, un piacere del narrare in sé in cui il negativo drammatico o tragico fonde.(…)La cifra di Citti è soprattutto in  questo: lo sciogliersi del senso tragico nel gusto di narrare (che quel senso, in Pasolini, serviva invece a costruire).” (Maurizio De Benedictis, Sergio Citti, la stella e la fame, in Sergio Citti, lo Straniero del cinema italiano.)

Casotto è stato un film denigrato dalla critica e per molti anni pressoché sconosciuto ai più. Le recensioni alla sua uscita furono quasi tutte negative, e molti ebbero il cattivo gusto di insinuare che, morto il mentore Pasolini, anche l’ispirazione di Citti era morta. Ma a Citti non importava più di tanto, del resto non ha mai avuto molta fiducia nella figura del critico cinematografico:

“Gli unici due che non vedono il film sono i critici e il regista che lo gira; tutti vedranno il film, ma i registi non vedranno mai i loro film, non riuscirò mai a vedere un film mio: lo faccio, già ce l’ho in mente, già l’ho visto; e i critici: perché ne vedono troppi, o perché…ti faccio un esempio, parlo per segni:te dico magna sta minestra e tu ti metti lì e cominci a sentì: qui ce sta olio, un po’ de sale, un po’ d’origano…hai finito la minestra ma non ti sei accorto del sapore della minestra,hai cercato di capire quello che c’è dentro la minestra e il sapore della minestra non l’hai inteso più, per cercà; e così il critico va al cinema già prevenuto: “quello no! Quell’altro no!quello…quell’altro…” e il cinema è passato.”(Conversazione con Sergio Citti, a cura di Mauro Paganelli e Riccardo Rosetti.)

Vincenzo Cerami, invece, accusò il colpo. La sua carriera di sceneggiatore non era ancora poi così affermata, e, come confessa nell’intervista presente negli extra del dvd prodotto da Medusa video,  tolse, timoroso di possibili ripercussioni, la partecipazione al film dal suo curriculum. Finchè molti anni dopo si trovò nella giuria di Venezia, in una sezione minore, insieme a quello strano critico che, dice Cerami, ‘non capivo molto quando parlava’, Enrico Grezzi. Appena vide Cerami, Ghezzi corse da lui e con fervore lo apostrofò: “Tu hai scritto Casotto?” e Cerami, che aveva quasi rimosso questo successo mancato, rispose scocciato : “Proprio questo film, tra tutti quelli che ho scritto, dovevi ritirare fuori?” e Ghezzi, oramai quasi in ginocchio di fronte al sempre più sconvolto Cerami: “E’ un capolavoro.” Qualche critico allora il film l’ha visto davvero.

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