martedì, Novembre 5, 2024

Sin city, una donna per cui uccidere: la recensione

A nove anni di distanza, Robert Rodriguez e Frank Miller tornano insieme e recuperano la stilizzazione iperrealista che aveva caratterizzato la relazione estrema tra corpi e sfondo nel primo Sin City, lasciando praticamente invariati tutti i parametri estetici. Di quella fusione tra fumetto, hard boiled, splatter e utilizzo creativo del green screen viene mantenuta la maniera maentre si perde inevitabilmente per strada la forza innovativa di un linguaggio di frontiera ormai superato dall’evoluzione dei set virtuali. Persino l’occasione del 3D viene completamente mancata con un approccio facile tutto giocato su una profondità di campo tradizionale limitata alla sola esaltazione delle prospettive neo-espressioniste. In fondo sembra che Rodriguez e Miller siano unicamente interessati a delineare una versione potenziata della dimensione grafica del fumetto, assicurandogli una medesima resa scultorea, senza rischiare ulteriori contaminazioni. I corpi qui, sono inerti rispetto allo scenario, e disegnano i confini di un universo senza respiro e completamente assorbito dalla perfezione di un progetto autoreferenziale.

Nello spazio dello storytelling visuale la formula episodica rimane invariata ma è ovviamente un pretesto per riempire un vuoto strutturale che non consente nessun dialogo tra gli elementi narrativi in campo; la stoliditá monolitica dei personaggi assolve proprio questa funzione, quasi si trattasse di un archetipo tra tragedia e pulp esasperato al massimo nelle sue linee guida più evidenti. In questo universo statuario Dwight (Josh Brolin) duplica sostanzialmente il personaggio di Marv (Mickey Rourke) in una sovrapposizione funzionale alla serialità del progetto, mentre emerge come un corpo fulgido e pagano Ava Lord, una Eva Green sempre nuda, sopra le righe e che porta alle estreme conseguenze l’immaginario della dark lady facendone collidere i segni in una versione intensamente mostruosa, unica apparizione suggestiva in mezzo all’assenza di vita dei cliché.

Ma il secondo capitolo di Sin City è anche un esempio del peggior cinema di Rodriguez, quello legato al dispositivo pulp che non riesce a grattare oltre la superficie, accontentandosi di un godimento parafiliaco.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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