La commedia è un genere difficile, forse il più difficile tra i generi. Le possibilità che offre questa tipologia di forma espressiva sono molteplici ed eterogenee. Raramente infatti capita che la visione di una commedia soddisfi da tutti i punti di vista; spesso lacune strutturali sono compensate da altrettanti punti forza che ne risollevano la credibilità.
Ma Smetto quando voglio del giovane Sydney Sibilia esula da tutto ciò. Esso, se non perfetto, risulta indubbiamente efficace da tutti i punti di vista. Ma ciò che maggiormente conta è la presenza in quest’opera prima di un quid in più rispetto alla convenzionale commedia italiana (e non), quell’elemento sotteso alle vicende di personaggi quanto mai così tragicamente veri. Questo quid è la forza esorcizzante che contiene in nuce.
Sì, perché la visione di questo film ha una capacità straordinaria, e una vera e propria esperienza mistica risulta la sua fruizione. Una sdrammatizzazione di problematiche alquanto complesse, che trova espressione in un perfetto lavoro cinematografico che, trattandosi poi d’opera prima, risulta ancor più ammirevole ed elogiabile. Una visione che non si limita al concluso “cinemino pe’ fasse du risate”, ma che dota lo spettatore di un’abilità non indifferente, l’energia e la giusta filosofia per affrontare un problema sociale che tocca tutti, mondo giovanile in primis, da vicino. La spensieratezza di cui si è avvolti all’uscita dalla sala è la corazza esorcizzante, il guscio duro su cui cozzeranno le difficoltà, gli ostacoli e il destino avverso. Perché i sette eroi di questa brillante commedia ci dimostrano che un modo per combattere le avversità economiche in periodo di crisi esiste. Una modalità, si intende, dai toni estremi, come tipico del genere.
Far riflettere tramite la risata. Questo sembra l’intento ultimo del film, ed il risultato non è per nulla disatteso.
Smetto quando voglio nasce da un’esigenza, quella di dar voce ad una categoria di individui che, pur avendo forse più diritto di tutti di elevare il loro monito contro la società alla deriva, vengono essi stessi esiliati nel territorio sterile dell’indifferenza. Un problema che si palesa alle coscienze degli studenti in quell’anno fatidico che vide l’approvazione dei tagli alla ricerca, il 2010. Consequenziali tumulti presero vita proprio dall’Università La Sapienza, da dove, non a caso, i ricercatori universitari del film subiranno il loro smacco professionale e dove, in una sorta di rivendicazione, fabbricheranno la famigerata nuova droga.
Per uno che, come il sottoscritto, in quell’anno ed in quel luogo c’era, riesce facile comprendere il malessere ed il forte rancore della “guerriglia” studentesca. Ecco quindi che, contro un sistema eticamente sbagliato, le soglie tra bene e male diventano sempre più indecifrabili, fino ad una nuova concezione, arrivando a contemplare il crimine come unica soluzione all’avverso sistema, alla crisi e a tutta l’infame esistenza. L’anticonformismo estremo diventa un valore, di contro all’ipocrisia politica, riflesso di una società che fa del denaro il simbolo di uno status dalle conseguenze discriminanti. E infatti, l’asserzione “smetto quando voglio” è attribuibile ad una dipendenza dal denaro, non dalla droga, perché il denaro è forse la droga peggiore di questa società, che logora subdolamente chiunque ne entri in contatto con accesso facilitato ed illimitato.
Ma come esprimere questo senso di disagio? Come far filtrare un messaggio simile senza correre il rischio di risultare pedanti ed annoiare lo spettatore di cinema occasionale? L’unica soluzione sembra appunto la commedia, ormai (triste dirlo) unico genere che in Italia ancora registri un certo afflusso di pubblico nelle sale. E proprio per tali requisiti si prospetta come solo mezzo attraverso cui lanciare una denuncia. La cosa buffa è che, se il film avesse assunto toni seriosi, sarebbe di certo andato in contro a numerose difficoltà, al limite della censura e del boicottaggio.
I sette ricercatori si designano come eroi della rivendicazione, ribellandosi ad un contesto che li vede costretti a sottostare a dei padroni immeritevoli. Una rivincita dei cervelli, una rivoluzione sociale che ristabilisce la giusta demarcazione tra merito ed opportunità. Ma ciò che maggiormente conta è che tutto questo riesca a filtrare attraverso gli edulcoranti toni della commedia, toccando a volte accenti iperbolici: ogni cosa con cui hanno a che fare i sette eroi della ricerca assume una piega surreale, tra eccessi e stravaganze che rimandano a commedie americane di successo come Una notte da leoni, fino alla palese rielaborazione di serie televisive come Breaking Bad e Big Bang Theory, da cui il film attinge la trama del primo e lo “humour nerd” della seconda.