Indre è una giovane psicologa ansiosa di far carriera nel campo della ricerca, vorrebbe lavorare sul metodo terapeutico del biofeedback ma, si capisce, è ossessivamente interessata alla macchina, mentre prova non poco disagio se a contatto con i pazienti. Paulius e Juste sono due di loro: lui è affetto da sindrome maniaco-depressiva, lei ha da poco tentato il suicidio. All’interno dell’istituto psichiatrico dove sono ricoverati, il primo incarico di Indre, affidatole da un tutor-mentore ben consapevole di quanto l’ambizione della ragazza sia ostacolata dalle limitazioni create dal pregiudizio, è quello di attraversare con loro il Paese (la Lituania), da Vilnius alla costa, per scortarli fino alla nuova clinica di cui saranno ospiti.
Summer Survivors, esordio al lungometraggio della regista e sceneggiatrice Marija Kavtaradze, è certo una delle tante storie peculiari che rendono intenzionalmente manifesta la forma dello stesso, archetipico viaggio al fondo di ogni narrazione, ma è pure, a livello discorsivo, il tentativo indispensabile di esercitare un’autenticità di sguardo sul tema della malattia mentale. In questo senso, più che per il documentarismo dello stile rappresentativo o per la recitazione moderata degli attori, quello di Kavtaradze è un esperimento di cinema del reale: le angolazioni insolite della macchina da presa addosso ai corpi, i bagliori improvvisi che l’obiettivo cattura attraverso il filtro ottico dei finestrini-schermo, non sono solo il (solito) segno visivo di una poetica nostalgia interiore, ma significano anche quel di più di umanità di cui chi guarda, costretto al punto di vista del viaggiatore tra i viaggiatori, può fare esperienza attraverso il dispositivo cinematografico.
Nell’abitacolo dell’automobile, grembo insonorizzato rispetto alle contaminazioni di un mondo dove resiste il tabù, ognuno è se stesso al di là dell’opinabile confine tra salute e malattia. Allora, di fronte alla loquace esuberanza di Paulius che ricomincia a parlare – se fuori sempre gli si chiede di nascondere la propria battaglia, il silenzio è risposta comprensibile – e alla prontezza di spirito di Juste, mentre crollano tutte le barriere alzate per timore di una qualche imprevedibile criticità, Indre non può che riconoscerli come simili e, di più, come coetanei.
Non è un caso se l’infermiera che li accompagna esce presto di scena tra l’ilarità dei tre: è il momento in cui il sorriso prima trattenuto di Indre si scioglie nella complicità delle risate. Squarci di quotidianità sanno essere la più efficacie delle terapie, ma Kavtaradze non indugia mai in utopie sentimentali. Le cicatrici sono lì, sulla pelle, e fanno male quanto i preconcetti che il – temporaneo – ritorno al reale obbliga ad affrontare. Come ogni percorso verso una maggiore consapevolezza, quello di Paulius e Juste è un cammino doloroso, ma in certa misura più travagliato lo è per Indre: l’epifania della propria inadeguatezza («non so cosa risponderti») conduce a un silenzio denso della fragilità che ci riguarda, tutti. Memori di una comunione di luce, a questa fragilità si può sorridere.
Summer Survivors, già presentato a Toronto nel 2018 e in concorso al Reykjavík International Film Festival, sarà proiettato mercoledì 8 luglio alle ore 21.00 presso l’arena Ettore Scola alla Casa del Cinema di Roma, nell’ambito di una serie di iniziative promosse dell’Ambasciata della Repubblica di Lituania in Italia e del Lithuanian Film center per promuovere il cinema lituano nel nostro Paese.