domenica, Dicembre 22, 2024

Spectre di Sam Mendes: la recensione

Mentre la neocostruita DB10 della Aston Martin si inabissa tra le acque del Tevere, la storica DB5 già ricomparsa in Skyfall esce dal suo ruolo museale e accompagna Daniel Craig e Léa Seydoux nel viaggio finale verso l’ignoto. Sam Mendes continua a far dialogare i due mondi di James Bond innestando elementi del passato nel corpo dei blockbuster più recenti. L’operazione è quindi diacronica, attraverso il recupero di riferimenti diretti, tra cui lo scontro brutale tra Craig e Dave Bautista, ultimo di una serie di combattimenti a bordo di un treno che include Dalla Russia con Amore, Vivi e lascia morire e La spia che mi amava. Ma si tratta sopratutto di un procedimento sincronico, nel tentativo di mettere in relazione l’archivio storico con l’evoluzione di un genere, giocando d’astuzia con sovrapposizioni e slittamenti.

Lo stesso Bautista rappresenta la combinazione di alcuni tirapiedi “classici” come Oddjob (Harold Sakata, in Goldifinger) e Lo Squalo intepretato da Christopher Wood (da La Spia che mi amava fino al fantascientifico Moonraker) con quella brutalità fisica che guarda al suo ruolo in Guardiani della Galassia e più in generale al mondo Marvel, i cui riferimenti in Spectre sono numerosissimi, a partire dal modo in cui è concepito il quartier generale nel deserto fino alla lenta corrosione dell’intelligence operata dalla Spectre, riproposizione di una dinamica molto simile a quella di Captain America: The Winter Soldier, dove l’Hydra penetra all’interno dello S.H.I.E.L.D. per distruggerlo, a sua volta variante dell’operazione sotto copertura di Mission Impossible: Protocollo Fantasma, segno del sempre più difficile rapporto tra intelligence e governi che arriva all’apice dell’individualismo “canaglia” nel recente Rogue Nation recensito da Michele Faggi qui su indie-eye .

Tutto questo ci dice quanto il lavoro di Mendes insieme allo sceneggiatore John Logan (già opzionato per il prossimo Bond 25) funzioni attraverso l’elaborazione di una stratificata prassi combinatoria tra scrittura ed esigenze industriali, nello stesso modo in cui la mutazione del mondo Disney in quello Marvel ha dato origine ad una complessa mitopoiesi fatta di interpolazioni, espansioni, sostituzioni e invenzioni creative tra tradizione e innovazione.

La serie continua di rispecchiamenti che conducono quasi sempre verso nuove direzioni, trova applicazione stimolante nel lavoro che Mendes compie sulla figura della Bond Girl, qui tripartita come parte di una dialettica non lineare, che attraverso la storia e il tempo arriva ad un personaggio di sintesi come quello di Madeleine Swann (Léa Seydoux) in dialogo con Donna Lucia (Monica Bellucci) ed Eve Moneypenny, quest’ultima rinnovata a partire da Skyfall dall’interpretazione più dinamica e attiva di Naomie Harris, sicuramente più vicina al fil rouge delle donne forti della serie Bond. Ed è proprio nella differenza tra queste due tracce che si inserisce il personaggio di Madeleine Swann, sicuramente addestrata per compiere azioni notevoli come le due eccezioni degli anni 60 che hanno aperto la strada alle bond girl più recenti, ovvero Diana Rigg e Honor Blackman, personaggi dalle capacità eccezionali. Ma la Swann allo stesso tempo diventa veicolo di una tormentata fragilità capace di far breccia nell’impenetrabilità di Daniel Craig, il cui confronto con uno straordinario Christoph Waltz funziona da vero e proprio Doppelgänger.

Che il rapporto con il passato sia quindi questione ereditaria e di filiazioni di cui sbarazzarsi o nei confronti delle quali la memoria possa assumere un valore peculiare, è chiarissimo in termini diegetici tra macchine che si inabissano e vecchi prototipi di nuovo in pista, ma sopratutto nella continua relazione di sangue tra padri, figlie e fratelli che innerva tutto il film. Una relazione con la propria morte che assume caratteristiche simboliche nell’incredibile incontro erotico tra Monica Bellucci e Daniel Craig dentro lo spazio iperrealista di una villa completamente svuotata che odora di morte grazie anche alle immagini oscure di Hoyte Van Hoytema (Lasciami Entrare, La talpa, Call Girl, Interstellar) ottimo direttore della fotografia molto attento ai valori cromatici e alle desaturazioni.

Sentore di morte che attraversa tutto l’incipit girato a Città del Messico in Piazza Della Costituzione in mezzo alla parata dei “las Calaveras” e che in qualche modo contamina l’intero film quando entra dentro palazzi fatiscenti, oppure percorre una Roma notturna adattando la fisiologia degli inseguimenti alla claustrofobia dei vicoli, davvero un’altra cosa rispetto al vintage di maniera del brutto Operazione U.N.C.L.E..

Ma si diceva dell’amplesso Bellucci/Craig. Mendes filma l’attrice italiana evidenziandone l’erotismo ma anche l’invecchiamento, in una sequenza decadente che colloca Donna Lucia proprio nel ricordo delle Bond Girl legate esclusivamente alla seduzione. Come Cassandra, la vedova in nero ammonisce Bond sui pericoli ai quali andrà incontro; Bond e Mendes l’abbandonano da sola sul letto in mezzo ad una villa deserta, rivelando quelle qualità spettrali che attraverseranno tutto il film nel continuo scambio semantico tra passato e futuro.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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