L’universo ultimate della Marvel nasce nel nuovo millennio come tentativo di espandere la narrazione legata ad alcuni personaggi della nota casa editrice, fuori dagli obblighi della continuity classica. Miles Morales è una delle mutazioni più interessanti, inventato dalla penna di Brian Bendis in team con i disegni di Sara Pichelli, sostituisce improvvisamente Peter Parker ucciso in seguito ad uno scontro con Kingpin nel “multiverso” parallelo a quello desunto dalle narrazioni tradizionali.
Nel mondo Ultimate Peter Parker è definitivamente morto, mentre il ragazzo è il primo afroamericano a indossare il costume di spidey, la cui genesi come parte della comunità metaumana, segue una mitopoiesi molto simile a quella di Parker.
La Sony, che ha contribuito alla crescita del “Marvel Cinematic Universe” con gli spin-off provenienti dal mondo di The Amazing Spider Man in parte annunciati, in seguito smentiti e al momento appena conclusi e distribuiti (Venom) o in fase di lavorazione (The Sinister Six), finalmente riesce a fare centro. L’inserimento più recente di Spider-Man nel MCU ha generato una serie di espansioni potenziali che trovano al momento la sua applicazione più convincente proprio in questo “Spider-Man: un nuovo universo”, in uscita nelle sale italiane per il giorno di natale 2018.
La prima novità è il ricorso integrale all’animazione, la seconda è la centralità di una figura come Miles Morales, prelevata direttamente dal contesto “ultimate” e trattata secondo i parametri già introdotti da Phil Lord e Chris Miller, produttori del film e menti creative dietro “The Lego Movie” e “21 Jump Street”, esempi fulgidi di come trasformare, rilanciare e aprire nuovi orizzonti a partire da un franchise con regole stabilite.
L’incipit è quello del passaggio di Morales dalla prospettiva del fan a quella di una nuova mitologia, con tutti gli elementi tipici del racconto di formazione. Adolescente di Brooklyn, adora Spider-Man, fino a quando un ragno radioattivo non lo morde, trasferendo su di lui gli stessi superpoteri del suo idolo. La nascita di un nuovo eroe decreta la morte di quello originale per mano di Kingpin, l’ecoterrorista che si è inventato un dispositivo per aprire le porte del tempo.
Il dispiegarsi di universi paralleli dovrebbe servire al criminale per distruggere Brooklyn, mentre Morales lo sfrutterà per reclutare altri Spider-Man con-presenti nei numerosi universi paralleli dove adesso è possibile accedere. Eroi disseminati in altre falde temporali che consentono a Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman di giocare con un linguaggio spudoratamente cross-mediale, attivando numerose contaminazione tra il mondo del fumetto, quello dell’arte digitale e la storia stessa dell’animazione.
L’apertura delle cornici passa dalla graphic novel all’animazione delle origini, dall’inchiostrazione fino alla pixel art, senza abdicare ad un eclettismo privo di spessore e di anima. Il personaggio di Morales in questo senso viene sviluppato con sorprendente accuratezza, elaborando una realtà famigliare ed emotiva che ricorda il cinema di Spielberg e Rob Reiner a cavallo tra gli ottanta e i novanta.
Lo svelamento progressivo di un complesso metaverso genera personaggi che sono l’uno lo specchio dell’altro, ma con personalità e attitudini uniche, determinate dallo stile e l’inventiva grafica che li caratterizza uno dopo l’altro. Lo Spider Man in bianco e nero (Spider-Man Noir) il cui tratto sembra provenire direttamente dalla stilizzazione della cultura hard boiled, Spider-Gwen, che fonde due personaggi in uno, oppure Spider-Ham che proviene direttamente dalle parodie inventate da Tom DeFalco e Mark Armstrong per la stessa Marvel.
Vere e proprie iterazioni che partono da diversi contesti narrativi non necessariamente endogeni al medium fumetto, inclusa la trilogia diretta da Sam Raimi. Ciascun personaggio mantiene quindi un legame specifico con il suo multiverso non solo in termini grafici, ma anche per il tono e le scelte narrative connesse; dal dramma al racconto di formazione, dal fumetto tout court alla graphic novel, passando per le gag parodiche fino ad una rilettura dell’animazione degli anni quaranta.
Il nuovo universo è allora la palpebra rovesciata della ri-mediazione digitale. Come osservatori e fruitori siamo vicini a Morales, prima fan poi produttore di quello stesso immaginario mitologico già storicizzato e digitalizzato attraverso i grandi database che sostituiscono il lavoro della memoria. L’effige di un’immagine che imita le tecniche senza ricorrere alla ricostruzione nostalgica, seguendo la storia e l’evoluzione del racconto, quello del disegno all’interno della cornice digitale.
Invece di costruire il simulacro di un cinema che non è mai stato, attraverso quello che una volta “era”, il nuovo universo accetta la contaminazione, gli accostamenti eretici, la mutazione da una forma all’altra nello spazio della ricostruzione grafica, esplorando nuove convergenze, sovrapponendo i livelli e viaggiando letteralmente nel tempo, lasciando che sul proprio corpo, immaginato o animato, si accumulino le cicatrici del segno.