Nel silenzio elementale di un naufragio, due donne si ritrovano sulla riva dell’oceano, circondate dai rumori della natura e dal ronzio di un drone che seguirà tutti i loro movimenti esterni, sulla superficie dell’isola.
Non è il Connemara di Nothing Personal, ma il lavoro sull’ambiente e sugli ambienti è fatto della stessa sostanza. Concepito durante la pandemia, il film di Urszula Antoniak è una definizione interiore della paura personalmente sperimentata durante l’emergenza epidemiologica, dove alcuni elementi che si riferiscono a quell’immaginario politico e sanitario, vengono asciugati, ridotti ad uno scheletro visivo, per sviluppare un anti-racconto che pende maggiormente dalle parti delle arti visuali, video-arte inclusa, come accadeva per certi versi in À Jamais di Benoît Jacquot.
Citiamo il film del cineasta francese perché Splendid Isolation contrappone i volumi di un’architettura funzionale ad altri elementi sensoriali, creando una dialettica costituita da combinazioni semiotiche disposte su più livelli.
Ma se il film di Jacquot affidava alla registrazione del suono un ruolo importante nella destrutturazione del reale, la regista polacca traduce l’elemento aurale nello spazio visuale, in un continuo scambio semantico tra natura e tecnologia.
La casa sull’isola, concreta quanto evanescente, è una ricombinazione dell’occhio virtuale nell’esperienza del naufragio. Individuata dalle due donne come rifugio, conserva le tracce dell’ospite precedente attraverso gli elementi materiali, mentre il concetto di presenza viene sviluppato attraverso gli schermi, le videocamere di sorveglianza, il tablet lasciato sul letto; strumenti della visione disincarnata.
Il corpo scavato di Anneke Sluiters è sottoposto alle cure e alla protezione di Khadija El Kharraz Alami, quale sia il disagio fisico e psichico che mina la sua salute non è importante, più evidenti i segni di una separazione tra corpo e gesto, nella disseminazione di oggetti che modificano la loro relazione con il mondo.
In una delle sequenze in cui l’erotismo cerca una via d’uscita dal regime scopico in cui è confinato, le due donne fanno l’amore con le loro lingue, separate da un vetro; la Antoniak ci consente di vederlo solo attraverso l’impossibilità del contatto o per le improvvise materializzazioni della condensa.
Nel seminterrato, una misteriosa stanza insonorizzata, quasi fosse un rifugio anecoico per consentire la percezione esclusiva dei rumori provenienti dal proprio corpo.
Tutto ciò che è visibile oltre l’esperienza del naufragio è l’immagine stessa dell’isolamento, restituita dai dispositivi di sorveglianza e dal controllo operato dal drone, quasi per suggerire la configurazione di una nuova colonia penale.
La Antoniak mutua il titolo del film da un’espressione di George Eulas Foster, il politico canadese che alla fine dell’ottocento si riferiva al distacco dell’Inghilterra dal Sistema del Congresso Europeo; uno splendido isolamento che avrebbe consentito la sospensione di alleanze militari con il continente, per sviluppare l’espansione via mare dell’Impero.
L’adattamento del linguaggio militare al contesto sembra in questo modo alludere ad una dimensione politica che preme fuori campo e investe di senso una dimensione altrimenti immersa nella surrealtà.
Nello slittamento di movimenti e oggetti che appartengono alla quotidianità degli ultimi due anni, la regista polacco-olandese mantiene quindi il contatto con una realtà sospesa e la fa combaciare con le intenzioni allegoriche del racconto.
L’allegoria in qualche modo prende una direzione esplicita con l’apparizione di Abke Haring, corpo androgino che suggerisce la presenza della morte come componente ineluttabile nella relazione tra Anna e Hannah. Ma è una presenza che non disinnesca la forza di due corpi costretti ad una distanza tattile che la Antoniak avvicina con gli strumenti del cinema: sovrimpressioni, il gioco con-tro lo spazio del corpo attoriale, l’orizzonte a perdita d’occhio verso il quale Anna fugge costantemente.
I due nomi, entrambi scritti in forma palindroma, sottolineano questa dinamica del vedersi visti dentro un’arena dove solo il superamento dei limiti corporei può sfuggire alla smaterializzazione imposta dai dispositivi che organizzano il reale.
La Antoniak conserva quindi tutti gli elementi di un cinema fisico, ancora vivo nella relazione tra schermo e corpo, che superano e allo stesso tempo informano l’esoscheletro concettuale.
Nella relazione con la malatta e la morte è l’incondizionata empatia del viverla a distanza ravvicinata, cercando il contagio amoroso, a consentire il superamento. Risuona il Vivaldi del Nisi Dominus, i due motti che il Prete Rosso compose per scolpire nuovamente la Pietà di Michelangelo con le note.
Pietà e accettazione, due qualità estreme del vivere non del tutto comprese dalle coscienze ricombinate intorno ai focolari digitali.
Splendid Isolation di Urszula Antoniak (Olanda 2022, 80 min)
Interpreti: Anneke Sluiters, Khadija El Kharraz Alami, Abke Haring
Sceneggiatura: Urszula Antoniak
Fotografia: Myrthe Mosterman
Montaggio: Milenia Fiedler