C’è un momento centrale nel film F. Gary Gray, dove una polizia dalle caratteristiche militarizzate intima ai N.W.A. di non suonare dal vivo “Fuck tha Police“. Il concerto è quello di Detroit del 1989 e nonostante le indicazioni, il gruppo esegue comunque la canzone innescando una miccia che il regista americano filma con grande senso coreografico dello sguardo, mentre la musica incalza e le forze dell’ordine accerchiano il palco avanzando tra la folla.
Sono le immagini di una guerra civile che preme costantemente dai margini per tutto il film, offrendo una lettura politica delle provocazioni di Eazy-E, fondatore del combo di Compton. Mentre risuonano le liriche del brano, dove si dice che “police think they have the authority to kill a minority” non è difficile ricollegarne il senso alle immagini televisive del pestaggio di Rodney King avvenuto qualche anno dopo e che nel film occupano una posizione chiarissima, preparazione di una rivolta annunciata che si sovrappone a tutti gli abusi di potere perpetrati dalla polizia di Los Angeles mostrati sin dall’inizio di Straight Outta Compton con l’intensità di un perenne stato d’assedio, quasi a suggerire una connessione diretta con gli episodi recenti di Ferguson e l’omicidio di Michael Brown.
Nella ricostruzione della parabola creativa dei N.W.A. descritta fino alla morte di Eazy-E avvenuta nel 1995 dopo essergli stato diagnosticato il virus HIV, F. Gary Gray sceglie di evidenziare la collocazione borderline di un genere che nasce come occasione di riscatto sociale, oscillando tra vita criminale, grandeur gangsta e lusinghe dell’industria, ma rilevandone allo stesso tempo la capacità di documentare le complesse mutazioni sociali che stavano dilaniando gli Stati Uniti. Sono numerosi i momenti dove i N.W.A. affermano la flagranza della loro musica rispetto alla realtà che osservano e nel confronto di Dr. Dre con un giornalista di settore, il primo sembra recuperare l’assunto dei Public Enemy quando nel 1988, alla vigilia del lancio di “It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back” autodefinivano la loro musica come la CNN afroamericana.
L’America sullo sfondo è quella degli ultimi anni di governo Reaganiano, con l’aumento esponenziale della disoccupazione e il controllo brutale della polizia di tutti i quartieri poveri. Chi si ricorda il videoclip di un David Bowie più mainstream che mai, quello diretto da Julien Temple nel 1987 per “Day in day out“, non può dimenticarsi il tank della polizia di Los Angeles che sfonda una delle case approntate per i senza tetto.
F. Gary Gray, autore tra l’altro di numerosi videoclip a partire dai primi anni ’90, all’inizio del suo film recupera quella sequenza da un’angolatura simile per mostrarci la stessa violenza e introdurci in un mondo dove il ritmo sembra l’unica possibilità per salvarsi dal collasso di uno stato democratico e per delineare la propria area di sopravvivenza. Tutta la sequenza dei tumulti di Detroit, conclusasi con l’arresto dei N.W.A. rappresenta perfettamente la sintesi di questo stare sul bordo, perché mentre è trainata da una forza intimamente musicale come asse portante del film, rimane in equilibrio tra consapevolezza politica e la furia del groove spinto oltre ogni limite.
Tutto Straight Outta Compton è un’estenuante lotta di affermazione identitaria che passa attraverso la conquista e lo spossessamento di una zona di potere. Dai primi confronti di Eazy-E (Jason Mitchell) con una gang di spacciatori, alla lotta senza regole tra poliziotti e popolazione afroamericana, fino alla relazione controversa con il management di Jerry Heller (Paul Giamatti) il cui ruolo viene chiaramente descritto da F. Gary Gray come quello di un padre bianco che filtrando l’accesso al mondo del music biz, lo allontana irrimediabilmente dalla gestione autonoma del contesto produttivo, prima ancora di quello legato alla costruzione di un linguaggio.
I primi scontri a suon di registrazioni tra quello che rimane della Ruthless records e il fuoriuscito Ice Cube (O’Shea Jackson Jr.) assumeranno una connotazione legata al controllo di uno spazio creativo, pur se nascosta dietro il paravento provocatorio a sfondo razziale sollecitato dalle liriche feroci del rapper. La stessa dicotomia avverrà all’interno della crew, quando Suge Knight (R. Marcos Taylor) fonderà la Death Row Records insieme a Dr. Dre (Corey Hawkins), assumendone il controllo con metodi e comportamenti criminali, descritti da F. Gary Gray come un inferno iperrealista di sopruso e violenza, l’applicazione di un metodo mafioso alla gestione dei capitali e una progressiva riduzione dell’importanza creativa dei prodotti.
In questo senso Straight Outta Compton, seguendo queste continue contrattazioni e rimanendo sospeso come si diceva a metà tra rivendicazione sociale e conquista del potere, identifica sempre di più l’unica forza positiva nella dimensione musicale e in quel piacere condiviso che accompagna i N.W.A. fin dalle prime sessioni in studio.
F. Gary Gray, autore attentissimo ad evidenziare gli sconfinamenti tra legge e crimine, torna al lungometraggio a sei anni di distanza dal notevole Giustizia privata con un film prodotto dagli stessi Dr. Dre e Ice Cube insieme a Tomica Woods-Wright, la vedova di Eazy-E, riferendosi anche al cinema prodotto in quegli anni (John Singleton, The Hughes Brothers, Mario Van Peebles, il Dennis Hopper di Colors) e recuperando le radici del proprio con una furiosa forza narrativa (la commedia all black Friday, il gangsta movie Set it off, entrambi realizzati dopo la prima metà dei ’90 all’apice del successo di Dr. Dre e Ice Cube)
In attesa di vedere cosa farà Carl Franklin con il suo biopic dedicato a Tupac.