martedì, Novembre 5, 2024

Surbiles di Giovanni Columbu: la recensione

Il nuorese Giovanni Columbu, regista di quel Su Re che ripercorreva con approccio originale e precisione formale la Via crucis, innestandola in territorio sardo, si è rivelato essere un autore a tutti gli effetti, ovvero un regista dotato di una propria impronta definita e spinto da una sensibilità creativa certo molto singolare, se la consideriamo all’interno dell’ambito cinematografico italiano.

Columbu è un autore legato particolarmente alla sua terra e a quelle tradizioni che permangono nella memoria degli anziani, tanto che il soggetto del suo ultimo film Surbiles, presentato alla 70esima edizione del Festival Locarno nella sezione Signs of life, ci immerge in un contesto assolutamente vernacolare, in un entroterra sardo arido e magico al tempo stesso. Columbu ci racconta una delle leggende più nere del folclore sardo.

Le “surbiles” sono figure femminili dai poteri soprannaturali; all’apparenza sono donne qualunque, giovani o vecchie, ma possono cambiare il loro corpo in quello di piccoli insetti come le mosche, caratteristica che permette loro di entrare nelle case per abbeverarsi col sangue dei bambini, meglio se non battezzati. Per scacciare questa sorta di streghe si utilizzano alcune bizzarre soluzioni: rovesciare gli oggetti di casa come sedie e scope, oppure lasciando pettini di fronte alla porte, per costringere le surbiles a contare ogni dente fino all’alba, dato che sono costrette a ricominciare dopo aver raggiunto il settimo. perché appunto si pensa che non sappiano contare oltre il sette.

Una sceneggiatura scarna, fatta di voci bisbigliate nella notte o contro porte chiuse che separano l’incubo dalla realtà, è in questo film accostata ad una scenografia a tinte fredde, inquietante scenario urbano coperto da nubi e avvolto dalle ombre. L’effetto è altamente suggestivo e produce istintivamente quella sgradevole sensazione d’inquietudine legata più all’elemento implicito, al non-detto che affonda nel mistero e genera in chi guarda un senso di attesa.

Il racconto è sospeso tra il tono di un atmosferico reportage sul soprannaturale e quello di un surrealismo da incubo. La regia prevede alcune soluzioni bizzarre, ad esempio quando le figure di alcuni personaggi si limitano semplicemente a dissolversi nel nulla, cedendo il passo al silenzio e a inquadrature vuote.

Columbu non si limita comunque ad osservare gli strani fenomeni che avvengono in questi borghi posseduti dalle surbiles. Il regista tra una scena di testimonianza diretta e l’altra inserisce alcune interviste agli abitanti di queste comunità, inclusi suoi parenti, chiedendo di farsi raccontare episodi legati all’attività di queste donne vampiro. Alcuni tra gli anziani interrogati tendono a rispondere in modo evasivo, negando l’esistenza delle surbiles, spiegando che si tratta semplicemente di “storie per mettere in riga i bambini”.

Altri invece, sempre rigorosamente parlando in stretto dialetto locale, raccontano avvistamenti ed incontri personali con il soprannaturale. Viene spiegato il processo di trasformazione delle donne in mosche, viene commentata la loro sete di sangue e sono descritti gli amuleti per allontanarle. Quindi Columbu, abbandonato il linguaggio dell’intervista, torna ad immergerci in un’atmosfera da incubo, degna del miglior folk-horror, genere che in Italia potrebbe avere una vera fortuna dato il vasto e fertile patrimonio folcloristico conservato nella memoria dei vecchi narratori, ultimi testimoni di antiche soggezioni, di superstizioni e riti contro le malignità soprannaturali.

Questo patrimonio riceve vita e spessore nella pellicola di Columbu, che adatta sapientemente il linguaggio cinematografico dell’orrore per creare un ambiente cupo in cui inserire senza bruschi contrasti e senza violenti movimenti di macchina l’elemento maligno, percepito così come una presenza viva ma lontana dal primo piano, raramente collocata al centro dell’attenzione.

Surbiles è dunque un film che scava nella tradizione del folclore più oscuro, per estrarne antiche paure che sopravvivono nella fantasia degli antenati. Si può dire che sia un film dell’orrore nel vero senso della parola: la paura è davvero l’attributo primario di questa pellicola, un viaggio a piedi nella superstizione in cui il male bussa alla porta di casa e chiede di invadere l’intimità con voce sommessa.

Michele Bellantuono
Michele Bellantuono
Veronese classe '91, laureato in Filologia moderna e studioso di cinema autodidatta, svolge da alcuni anni attività di critica cinematografica per realtà online. Ha un occhio di riguardo per il cinema di genere e dell'estremo oriente

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