La mattinata del Festival ha visto lo svolgersi di una tavola rotonda moderata dalla direttrice artistica Deborah Young intitolata Rivoluzione Maghreb alla quale hanno partecipato Ibrahim El Batout (regista), Habib Attia (produttore), Mourad Ben Cheikh (regista) e Lelia Kiliani (regista e documentarista). Si è discusso molto di quella che viene definita la primavera araba tutt’ora in corso, di quanto sia condizionata dalle immagini presenti sui vari social network e su come il cinema e i cineasti si relazionino a tutto ciò. In Tunisia, rappresentata da Mourad Ben Cheikh e Habib Attia, molti giovani cineasti lavorano fuori dal circuito tradizionale sono stati proprio i social network a mostrare in tempo reale le immagini di ciò che accadeva scuotendo la sensibilità di coloro che fino a quel momento avevano solo sentito dire. Ha commentato Mourad Ben Cheikh: «Si è compreso che la maggioranza si era spostata quando tutti hanno messo la bandiera della Tunisia come foto del loro profilo proprio su Facebook. È un modo completamente nuovo in cui si sviluppa il consenso.» Il regista egiziano Ibrahim El Batout, che ha presentato in concorso nella sezione Mediterranea Hawi: «Anche in Egitto Facebook ha avuto un grande impatto; un ruolo fondamentale poi è stato giocato dai tifosi di calcio che sono stati i primi ad opporsi alle cariche della polizia. Per ciò che mi riguarda io sono un regista e ho affidato i miei messaggi ai film, un po’ come con delle bottiglie, mai avrei pensato che la rivoluzione prendesse questa piega » Leila Kiliani regista di Sur La Plance in concorso ella sezione Mediterranea: «In Marocco il cambiamento sta avvenendo in modo lento e meno spettacolare, forse un po’ sterile. Il punto di vista da noi è diverso, ancora molto complicato. Ho ambientato il mio film a Tangeri, una città nella quale sono presenti numerose società straniere che impiegano manodopera locale, e ho cercato di interiorizzarla negli sguardi delle protagoniste. Sull’intervento occidentale in Libia Mourad Ben Cheikh: «Sia in Tunisia che in Egitto il cambiamento è stato possibile perché c’era comunque la consapevolezza di un’identità nazionale. In Libia Gheddafi ha cancellato il concetto di nazione.» e sul futuro della cinematografia tunisina: «Il mercato era inesistente a causa della censura e il cinema rimaneva sempre molto lontano dalla realtà quotidiana. Credo che oggi l’atteggiamento dei nuovi film maker tunisini sia cambiato ed abbiamo senza dubbio bisogno dell’aiuto dell’occidente perché la voglia di modernità è tanta.»
È seguita la conferenza stampa di Tarak Ben Ammar, produttore cinematografico tunisino che ha legato il suo nome a successi come Star Wars, Indiana Jones, Baaria e La Passione di Cristo e alle cronache economiche e politiche per i suoi affari con l’imprenditore francese Vincent Bolloré, il principe saudita Al-Walid bin Talal e per essere in Italia parte del consiglio d’amministrazione di Mediobanca: «Stiamo vivendo un momento storico molto particolare, basti pensare che a meno di un’ora da dove ci troviamo ed alla stessa latitudine c’è l’Africa dove molti giovai sono pronti a morire attraversando il Mediterraneo in cerca di un po’ di benessere.» Parlando dei suoi inizi: «Il motivo ispiratore della mia carriera e della mia vita è una frase di Kennedy: “Non chiedetevi cosa il vostro paese può are per voi, ma quello che voi potete fare per il vostro paese”. Il mio più grande sogno, insieme al cinema, era quello di regalare benessere alla mia terra. Ho creato la mia industria senza finanziamenti pubblici e abbiamo fatto lavorare più di 75.000 persone. Possediamo i primi studios cinematografici del mondo arabo. Ho lavorato con Franco Zeffirelli, Rosi, Rossellini, Lucas e Spielberg e ogni volta ho voluto che questi grossi personaggi insegnassero ai giovani tunisini impegnati sui set a fare del cinema un lavoro. Il mio ultimo progetto è il film di Jean Jaques Annaud Black Gold con Antonio Banderas e Freida Pinto che uscirà a gennaio. È un film sul mondo arabo, sul petrolio e sull’Islam. La Rivoluzione è scoppiata proprio mentre stavamo girando e il cast l’ha vissuta al nostro fianco. La storia che si svolge negli anni 30 ed è tratta dal romanzo di Hans Ruesch South of the heart che avevo letto quando giravamo Star Wars. Abbiamo girato in degli studios appena fuori Hammamet ed è il primo film internazionale girato e coprodotto col Qatar.»
A chi gli domanda di un suo possibile coinvolgimento in politica, data anche la sua collaborazione di lunga data con Silvio Berlusconi, Tarak Ben Ammar esclude che questo possa mai succedere: «Io non farò mai della politica altrimenti smetterei di essere libero. Non ho mai voluto sapere niente di politica. È vero che spesso per i miei affari ho rapporti con persone molto influenti ma il mio unico interesse è e rimarrà il cinema.» Sui film prodotti degli ultimi anni: «Per aver prodotto e distribuito La Passione di Cristo di Mel Gibson come musulmano sono stato aspramente criticato, persino denunciato, ma fu una grande soddisfazione mostrarlo al Papa e ricevere i suoi complimenti. Per Baaria abbiamo fatto un’operazione eccezionale: ricostruire la Bagheria degli anni 30 in Tunisia. Il mio prossimo film sarà incentrato sulla storia Mohamed Bouazizi il giovane che lo scorso 17 dicembre si è dato fuoco davanti al palazzo del governatore di Sidi Bou Zid innescando una catena di eventi che ha dato vita alla sommossa tunisina. Il ricavato del film sarà devoluto alla famiglia del giovane. Conto di presentare la pellicola proprio al prossimo TaorminaFilmFest.»
Presentato in concorso nella sezione Beyond The Mediterrean Black Butterflies di Paula Van Der Oest sulla vita di Ingrid Jonker la poetessa che raccontò nei suoi versi il dramma dell’Aparthied e che fu citata da Nelson Mandela nel suo discorso di insediamento alla presidenza. La regista presente alla proiezione ha raccontato la genesi del progetto: «Una mia amica aveva realizzato un documentario su Ingrid Jonker ed io confesso che non conoscevo la storia di questa donna prima di vederlo. Il produttore del documentario mi propose di ricavarne un film ed io ho accettato con entusiasmo. È stato un grande onore per me poterlo girare con 2 vere e proprie stelle del cinema olandese: Rutger Hauer e Carice Van Houten (Black Book, Operazione Valchiria) un’attrice straordinaria che entra nell’intimo di un personaggio senza nessuna paura e che ha regalato al film la sua dimensione fortemente intimista. Non credo ci sa niente di magico nel realizzare un film, anzi, è un lavoro piuttosto pragmatico: si segue la sceneggiatura insieme agli attori. Il mio amore per il cinema nasce dalla letteratura e dall’immaginazione. Per questo film ho lavorato con una crew completamente sudafricana e il mito di Ingrid Jonker è ancora vivo per loro.»