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The 90 Minute War di Eyal Halfon: Palestina e Israele si giocano tutto a calcio. Recensione

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Bruno Neri nel 1931 si rifiuta di fare il saluto romano alle autorità fasciste presenti all’inaugurazione del nuovo stadio della Fiorentina. Carlos Caszely tiene le braccia incrociate sul petto negando la stretta di mano a Pinochet quando il dittatore cileno saluta la nazionale alla vigilia di una gara di qualificazione per i Mondiali del 1974. Didier Drogba vinta la partita che qualifica la Costa d’Avorio ai Mondiali del 2006 fa inginocchiare tutti i compagni nello spogliatoio e in diretta televisiva supplica i suoi connazionali di deporre le armi e interrompere la guerra civile. In tempi recentissimi Megan Rapinoe non canta l’inno nazionale statunitense per protestare contro le discriminazioni razziali nel suo paese.
Divenuto partigiano Neri morirà nel 1944 in uno scontro a fuoco con i nazisti, Caszely si schiererà pubblicamente e sarà determinante per la sconfitta di Pinochet al referendum del 1988, e il discorso di Drogba convincerà il governo e i ribelli a trattare la pace. Ora non sappiamo se anche il gesto di Rapinoe riscuoterà eguale successo, ma non c’è dubbio che calcio e politica siano spesso andati a braccetto. Il calcio dopotutto è troppo radicato nel tessuto sociale di quasi ogni paese al mondo per non caricarsi di istanze politiche.
Perché allora non utilizzare direttamente il calcio per sbrogliare conflitti altrimenti irrisolvibili? È la domanda che si pone Eyal Halfon in The 90 Minutes War. Il governo israeliano si è accordato con quello palestinese: le rispettive nazionali di calcio giocheranno una partita che determinerà una volta per tutte chi potrà rimanere sui territori contesi, mentre gli sconfitti dovranno abbandonarli per sempre. Nella forma di falso documentario, Halfon racconta i preparativi di questa partita storica e folle.
L’ovvio intento è di riflettere nelle tensioni che sorgono tra i presidenti delle due associazioni calcistiche decenni di ostilità tra Israele e Palestina, mentre un organo internazionale cerca di mediare con scarsi risultati (in questo caso la FIFA). La metafora è dichiarata, e permette ad Halfon di raccontare con leggerezza e ironia una delle vicende più complesse e tragiche della storia recente.
La dimensione simbolica soverchia quella formale: del mockumentary, cioè del film di fiction che finge di essere un film documentario, The 90 Minutes War ha in realtà poco. Ogni tanto i personaggi si rivolgono agli ipotetici autori del documentario, ma il secondo livello di finzionalità che questa forma linguistica introdurrebbe rimane teorico, e troppo spesso la messa in scena si concede scelte di regia e montaggio impossibili in un documentario, rompendo così la sospensione di incredulità di uno spettatore che vorrebbe credere di guardare un documento e non una narrazione.
Sembra dunque di trovarsi davanti a una tradizionale commedia satirica. Non che sia qualcosa di cui lamentarsi, data l’esiguità della buona satira cinematografica. E Halfon, ebreo, dimostra di conoscere ciò che racconta e di raccontarlo senza faziosità (anzi, le sue simpatie sembrano andare verso i palestinesi). La surreale situazione che si viene a creare quando una partita di calcio determinerà i destini di due popoli rivela giorno dopo giorno un’assurdità di cui solo alcuni calciatori e alcuni tifosi sembrano rendersi conto, mentre scricchiolando il grande meccanismo sopra di loro continua ad avanzare verso una risoluzione sempre più incerta. Non occorre spiegare il significato.
Si potrebbe giocare a chi trova il maggior numero di parallelismi tra storia del film (la storia) e storia del conflitto (la Storia); sicuramente ogni piccola azione sullo schermo potrebbe riferirsi a un qualche evento reale e magari con molto tempo a disposizione l’intera allegoria verrebbe sciolta. Sarebbe forse divertente, sterile senza dubbio. The 90 Minutes War va prima di tutto goduto come commedia, genere fertile nel cinema israeliano. E come commedia diverte e restituisce, o meglio svela la dimensione politica del calcio, attraverso quella commistione tra cultura popolare e impegno civile che spesso è il nerbo delle migliori commedie.

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