Jesper Ganslandt bracca il corpo di Olle Sarri in modo da far pensare alla sofferta entomologia dei Dardenne, lo segue pero cosi da vicino imprigionando in un cunicolo lo sguardo vissuto come esperienza che attraversa la filmografia dei fratelli francesi. I residui sono quelli di una memoria a breve termine, scagliati in Medias res, tracce di un possibile momento di orrore e follia. Invece di abbandonarsi alle varianti del montaggio disgiuntivo frantumando il tempo del racconto Ganslandt si allontana dalla trappola della de-costruzione “nera” e si avvicina in modo ossessivo e brutale al dettaglio seguendo un percorso paranoide e disorientante. E’ il panico, la follia, l’ansia che esplode in un contesto quotidiano ad introdurci in una spirale visiva da cui possiamo uscire solamente con pochi elementi, un passaggio brusco e crudele da una dinamica deduttiva ad un processo induttivo dove l’occhio è letteralmente portato dentro, vicino al respiro, ai gesti, agli oggetti. Una forma del reale documentata e resa straordinaria solamente da quelle tracce di sangue che introducono il risveglio di Krister, unico dettaglio rivelatore catturato dall’occhio. In questo presente sospeso il ritorno nei luoghi dell’orrore più che un viaggio nei recessi della memoria sembra uno scarto tra l’oblio e il riconoscimento della propria immagine dove il tempo può contrarsi o dilatarsi all’infinito. Dopo Farväl Falkenberg, Jesper Ganslandt si conferma come un regista capace di avvicinarsi all’ambiguità dei processi mentali con la semplicità rigorosa e ruvida di un reale esplorato da vicino, The Ape è sicuramente il film più “astratto” nella filmografia del regista Svedese, un’astrazione che si rivela fedele e aderente all’idea che l’orrore sia un momento inconoscibile (o irriconoscibile) di perdita della propria percezione. Una vicinanza che non permette a Krister stesso di riconoscere l’origine della sua follia, se non in due movimenti opposti, il primo è un tentativo di oblio, in una bellissima sequenza dove distrugge tutte le foto di famiglia dentro l’abitacolo della sua macchina mentre le spazzole dell’autolavaggio cancellano e ricostruiscono l’immagine dal quadro. Al contrario Krister si riconosce come durante un brusco risveglio nel contatto fisico con il dolore del figlio, il suo grido d’aiuto lo spinge ad un’azione di protezione selvaggia, come un animale con i propri cuccioli, in un momento che ci fa comprendere quanto il cinema di Ganslandt sia al contempo fisico e mentale. Ho fatto un sogno papà, erano tutti animali, gli dice il figlio sul letto d’ospedale, e tu eri tra loro; e io cos’ero, gli risponde Grannen. Tu eri tu.
Too much of nothing
Can make a man feel ill at ease.
One man’s temper might rise
While another man’s temper might freeze.
In the day of confession
We cannot mock a soul.
(Bob Dylan – Too Much of Nothing – nei titoli di coda di The Ape)