domenica, Dicembre 22, 2024

The Conjuring – il caso Enfield: la recensione

Chissà che la direzione della fotografia di un veterano come Don Burgess non faccia la differenza rispetto al fedele John R. Leonetti, con Wan per il primo episodio di The Conjuring e per i due di Insidious. Leonetti riusciva a mantenere un equilibrio interessante tra recupero di una certa allure vicina alla storia dell’horror tra i settanta e gli ottanta e l’improvvisa apertura verso l’imprecisa imprecisione dei mezzi digitali. In questo senso Insidious 2 rimane l’esperimento più bizzarro, caciarone e stimolante di Wan, mentre The Conjuring quello sicuramente più irregimentato. Non aggiunge apparentemente niente di nuovo questo nuovo capitolo dedicato alle avventure paranormali di Edward “Ed” Warren Miney e Lorraine Rita Warren e del loro lavoro svolto per la New England Society for Psychic Research.

Le radici sono le stesse e l’Amityville di Rosemberg torna a più riprese con una sintesi che occupa i primi minuti del film e altri riferimenti disseminati lungo la vicenda centrale, tra cui quell’attenzione agli oggetti della casa che dal cesso che straboccava davanti al volto atterrito di James Brolin ci porta direttamente nel sottosuolo di un’abitazione londinese, dove il malfunzionamento di una lavatrice ha appena generato una strana laguna nera.

Wan come al solito frulla insieme una serie di sequenze fortemente marcate dallo loro origine storica, da Poltergeist a Changeling (quello di Peter Medak) passando per il sempre presente L’Esorcista e facendo attenzione alle creature generate dall’inconscio infantile, ormai una nuova tendenza da Babadook al deludente Somnia di Mike Flanagan. Non cambia quindi il metodo, la passione per i dispositivi meccanici (trenini elettrici, piccole lanterne magiche) che non a caso trovano sempre posto nell’ampia collezione di giocattoli “speciali” conservata da Ed Warren, una firma che è anche dichiarazione di intenti.

In un contesto così derivativo, di cui abbiamo parlato dettagliatamente con questa recensione, la forza del cinema di Wan si manifesta quando si apre alle combinazioni del gioco, l’unico aspetto che davvero gli interessa. Proprio per questo, per ragioni diverse, Fast & Furious 7 e sopratutto Insidios 2, rimangono i suoi film più riusciti, tra parodia e delirio, luna park e rollercoaster.

Si diceva di Don Burgess, l’ottimo direttore della fotografia sembra adattarsi ai colori e alle geometrie precise di certo cinema anni settanta, ma senza la tendenza selvaggia di Leonetti in Insidious 2, capace di mescolare formati e scelte cromatiche completamente incongrue in una forma diseguale e allo stesso tempo affascinante.

Al contrario, quando l’immagine sembra liberarsi dal rigore vintage, qui appare tirata via, incompleta e confusionaria senza farsi realmente punto di vista.

A tratti sembra un film un po’ sciatto The Conjuring – il caso Enfield, mentre per altre ragioni fa emergere in modo più chiaro la centralità familistica del cinema di Wan, qui evidente con le serate intorno ai caminetti, le famiglie disfunzionali e quelle che accolgono gli orfani ed infine la grande madre chiesa che sembra guidare le azioni migliori dei coniugi Warren.

Su questo aspetto Wan è più intelligente di quello che ci vuol far credere con il suo luna park creaturale vicino ancora una volta allo spirito guascone di William Castle. La figura del demone che assume il sembiante di una minacciosa madre superiora mentre i canti corali della chiesa cristiana “posseggono”, letteralmente, i dispositivi di riproduzione, è un divertentissimo motto di spirito anche per il modo in cui Wan gioca con il significato di icona sacra; tutta la sequenza in cui l’ombra si accomoda dietro ad un dipinto per poi uscire nuovamente dalla tela è un piccolo esempio del talento visionario del regista di origini malesi. Il bene che mostra il suo rovescio sembra al centro dell’idea di famiglia che si affaccia nel cinema di Wan, dove i demoni sono personaggi derelitti, come il vecchio morto nella sua amata poltrona, in cerca di pace da qualsiasi escatologia.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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