Tra i numerosi adattamenti cinematografici del romanzo dello scrittore Olandese Herman Koch, questo diretto da Oren Moverman è sicuramente il più politico.
Nel delineare la disgregazione di due famiglie allargate durante un pranzo all’interno di un ristorante esclusivo, sembra individuare, con disperato cinismo, alcune delle ragioni che hanno corrotto le “buone intenzioni” della classe politica progressista negli Stati Uniti, così da consegnare le chiavi del paese nelle mani di Donald Trump.
I privilegi del nucleo, errori inclusi, al posto del Welfare State, l’incapacità di proteggere i più deboli per garantire un futuro ai propri figli, la totale cancellazione di ogni diversità, se non nella vuota riproposizione di un moralismo senza scampo.
La fotografia di Bobby Bukowski dialoga con il lavoro sugli interni curato da Kelly McGehee, contrastando la qualità visiva e coloristica delle portate che passano in rassegna durante la cena, con movimenti di macchina “brutti”, uno stile visibilmente volgare, una dimensione “en directe”.
È come se la realtà venisse continuamente riscritta a partire dagli smartphone, dai tablet, dal nostro modo di guardare attraverso i dispositivi tecnologici di massa, gli unici capaci di rivelare cosa si nasconde dietro la superficie pretenziosamente artistica del cibo, la cui funzione ci viene mostrata come se fosse il surrogato di un oggetto d’arte.
Gli eventi storici raccontati da Paul ai suoi allievi (Steve Coogan) descrivono a poco a poco un personaggio problematico, un perdente in guerra con il mondo, che traduce le sconfitte storiche del suo paese in una metafora della propria vita.
In modo sin troppo didascalico il regista di origini israeliane si diverte a rovesciare le aspettative e a scorgere un barlume di umanità nel personaggio apparentemente votato all’esaltazione della propria immagine, il politico interpretato da Richard Gere, in dubbio se coprire o meno il figlio minorenne e il nipote, responsabili di una bravata tramutata in tragedia.
Il fratello di Paul sembra l’unico a poter uscire dal circolo vizioso della famiglia che difende se stessa, un tentativo vanificato dall’improvviso strappo conclusivo all’interno del film, segmento che si manifesta ex abrupto, restituendo al racconto un significato disperatamente cinico, ma anche chiuso e univoco, come il destino di chi diventa attore di un esperimento antropologico.
La città, intesa anche come comunità, é totalmente assente dal film, escrescenza da tenere fuori, come l’homeless bruciata dentro una cabina del telefono, non riguarda più una classe sociale chiusa dentro un recinto che ne preserva i privilegi.
A differenza di Nocturnal Animals, nel film di Moverman manca la capacità di creare una collisione dolorosa tra personaggi e ambiente, assorbendo le notevoli capacità performative dei suoi interpreti in un guscio sin troppo astratto ed autocompiaciuto, dove il punto di vista viene progressivamente sostituito da un occhio opaco.