martedì, Novembre 5, 2024

The Equalizer – il vendicatore – di Antoine Fuqua: la recensione

Dopo circa dodici anni Antoine Fuqua e Denzel Washington si ritrovano insieme per un portentoso revenge movie basato sull’omonimo serial statunitense trasmesso dalla CBS a partire dal 1985, interpretato da Edward Woodward e ideato da Richard Lindheim e Michael Sloane. Ed è proprio dagli anni ottanta che Fuqua prende linfa vitale, facendo implodere almeno dieci film dentro un corpo solo e lavorando ai fianchi il cinema di genere a partire dallo sconfinamento tra riferimenti e recuperi, in un modo così vitale che non si vedeva sullo schermo da anni. Il regista afro-americano stratifica l’iconologia di Washington con una serie di caratterizzazioni che nel risultato si avvicinano all’aura solitaria e crepuscolare del Walt Kowalski di Gran Torino, elaborando a poco a poco un poema visionario e astratto, innervato da deliranti e coreografiche esplosioni di ultra-violenza da far impallidire i tentativi “intelligenti” di Winding Refn quando si illude di impostare uno sguardo originale sui quarant’anni di cinema che lo hanno preceduto.

Immerso nella luce plumbea ideata dall’occhio fotografico di Mario Fiore, Fuqua coglie Robert McCall (Denzel Washington) in un diner 24h come fosse parte di un dipinto di Hopper, mentre è intento a portare avanti giorno dopo giorno la lettura de “il vecchio e il mare” di Hemingway, una delle stazioni letterarie che faranno da contrappunto all’evoluzione del personaggio. MacCall conduce una vita solitaria e oltre al suo lavoro nei magazzini di un Home Mart, vive in un appartamento disadorno e si dedica alle sue letture; tra un capitolo e l’altro consumato nel diner sotto casa, scambia due chiacchere con una prostituta di origini russe (Chloe Grace Moretz) sul senso della vita e sulla possibilità di dare una svolta al proprio destino; è un confronto che servirà a Fuqua per impostare quel mood che proviene dritto dalla New York livida di “Death Wish”, e che è solamente il punto di partenza per far convergere quarant’anni di storia politico-cinematografica americana, a partire dal periodo post-Vietnam fino al nuovo clima da guerra fredda tra Stati Uniti e Russia.

McCall è una macchina da guerra, ex agente CIA ritiratosi a vita tranquilla, coglie l’occasione per far esplodere le sue capacità chirurgiche dopo una punizione esemplare della mafia Russa ai danni della prostituta con cui parla abitualmente nel diner a due passi da casa; e a partire dalla prima vendetta efferatissima, The Equalizer miscela lo spirito più marcio del cinema di Michael Winner, con quello dei vari Mark L. Lester, Ted Kotcheff, Richard Donner, James Cameron cucendo tutti gli elementi più action in una tessitura “spy” delirante e decadente allo stesso tempo. C’è un rarissimo bagliore di luce nell’occhio di Fuqua, rarissimo e consapevole, quello di chi si serve della storia del cinema di genere per costruire un testo storico-politico sul proprio paese, qualcosa di diametralmente opposto all’antagonismo guascone e superficiale di Robert Rodriguez, troppo impegnato a colorare con tinte vintage e desideri nostalgici il suo cinema.

E non è solo la violenza estrema di alcuni frammenti o la scrittura di uno specialista come Richard Wenk (non solo The Expendables 2  ma anche il piccolo cult Vamp da lui scritto e diretto nel 1986, non a caso fusione tra horror e blaxploitation, con un’eroticissima Grace Jones vampira) ma il modo in cui Fuqua mette insieme il testosterone e un’oscurità tetra e quasi Fincheriana come spirito che anima quelle sequenze; un esempio delle numerose stratificazioni vitali si verifica quando McCall osserva dalla finestra di fronte i killer che sono venuti a stanarlo nel suo appartamento, attraverso un sistema remoto di microcamere controllate da un laptop; viene in mente l’origine di questa ipertrofia paranoide non tanto nel cinema degli anni settanta, ma nell’ultimo Pekinpah di Osterman Weekend, già proiettato verso la previsione oscura delle guerre telecomandate e qui sovrapposto a quell’idea in una bizzarra conversazione a distanza.

E che dire della potentissima sezione finale ambientata in questo gigantesco magazzino in stile ikea, filmato con un occhio all’epica duellante di The Heat e un altro al cinema fatto di luci e ombre di Ridley Scott? Non è un caso ci si riferisca all’autore di Black Rain, perchè Fuqua dimostra la stessa capacità di creare un cinema di spazi e corpi non troppo distante dall’ultimo incredibile The Counselor diretto dal cineasta inglese. Ma in mezzo a tutto questo rimane l’elaborazione di un’icona come quella di MacCall, sintonizzata in parte sull’immaginario di certo cinema politico black (da Van Peebles in giù) ma traslato in un contesto mainstream ottantiano, unica possibilità per elaborare, nel bene e nel male, un simulacro oscuro e controverso di Barack Obama. Se si pensa alla costruzione del personaggio, un sessantenne dai capelli grigi, fautore di una vita sana basata su principi vegani, sempre attento ad aiutare i lavoratori dello store di casalinghi per cui lavora, saggio, politicamente corretto, ma che sotto la superficie nasconde il background di una efficentissima macchina per uccidere, capace di affrontare da solo e completamente disarmato la mafia russa e l’establishment irlandese corrotto della cittá, allora viene in mente il modo in cui Fuquaha portato a compimento il percorso cinematografico di Washington come anti Sidney Poitier e come modello che da sempre, attraverso i suoi ruoli, ha aggiornato certe linee guida della blaxploitation, ma quella di The equalizer è anche una geniale sovrapposizione con i segni iconologici,  semantici, comunicativi che ci portano alla fisiologia politica dell’attuale presidente degli Stati Uniti. E non è un caso che Fuqua lavori su alcuni topos visivi con una forza tutta espressionista; non solo il modo in cui sono illuminati gli ambienti e la città, più vicini alla radice noir che al cinema action che comunque incamera massivamente, ma anche la sequenza in cui il male si estende sul tessuto urbano con il corpo di Marton Csokas tatuato di simboli satanici, sovrimpresso sull’immagine di una Boston notturna, quella stessa dove il pacifico vegano dovrà indossare nuovamente i panni del vendicatore. The Equalizer racconta gli ultimi anni di politica americana con una forza visionaria e selvaggia davvero sorprendente e, fortunatamente, senza alcun senso della misura.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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