[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f47d42″ class=”” size=””]C’era una volta un vecchio ghetto invisibile a Osaka, damerini e ben pensanti stavano alla larga perché quella terra di confine era il rifugio di disoneste canaglie e prostitute da quando la Seconda Guerra Mondiale era finita. Ma come in ogni fiaba che si rispetti quel luogo che si affacciava sull’abisso era anche lo spazio dove ogni ipotesi poteva consumarsi, almeno fino a quando qualcuno non decise di erigere recinzioni, muri che tenessero lontani quegli stessi abitanti che lì albergavano.[/perfectpullquote]
Il motore dell’azione è una rapina, un attore strampalato dopo aver fallito ripetutamente nel convincere la famiglia più potente del quartiere a lasciarlo diventare anche lui un gangster, le sottrae il kama pot, una sorta di calderone, un oggetto sacro per ogni famiglia che si rispetti.
A questo punto il figliol prodigo tornato a casa dopo molti anni non può dar inizio alla cerimonia di passaggio che lo vedrà prendere il posto del padre a capo del clan, seppur non muoia dalla voglia di farlo, mentre in strada si scatena immediatamente una guerra tra ruffiani per rintracciarlo.
La trama si muove all’interno di un labirinto, i personaggi si incrociano, si ritrovano e cominciano a muoversi all’unisono, come a creare un’onda pronta a infrangersi su i nemici. La corruzione delle autorità alla fine diventa nota e compresa dagli squatter. La rivolta è pronta, il ladro divenuto eroe delle masse legge Marx ad alta voce a una riunione della comunità per incoraggiare la rivoluzione, un anziano giapponese, che indossa la kefiah della Fedayeen palestinese, lascia che la prostituta e il bambino entrino in clandestinità, dopo che la donna è stata sospettata dalla polizia corrotta di essere un’assassina.
Tutto avviene mentre i francesi inviano lettere di sostegno alla scalcinata comunità di ribelli, mentre un prete si fa guida spirituale perplessa di queste anime beatamente perdute.
[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f47d42″ class=”” size=””]Leo Sato realizza un film in 16mm dai colori vivaci e dai forti contrasti, con una sincerità e un’estetica totalmente realistica, attraverso una comicità mordente e dissacrante e una delicata serietà, mostra un lato del Giappone che non si vede spesso. [/perfectpullquote]
The kamagasaki cauldron war è un ritratto autentico, démodé e spiritoso della società e delle singolarità che la animano. Gli abitanti del villaggio diventano attori in un racconto satirico sulla loro stessa lotta contro l’oppressione, lasciando che la loro operosità e la loro inventiva riempiano il film di micro-incidenti che sottolineano questo gioco fatto di disuguaglianze.
Lo stile elettrizzante e frenetico del film fonde l’urgenza documentaristica a una comicità surreale e malinconica nel quale emergono disorientanti primi piani per evocare un nuovo mondo di distorsioni.