The Lego Movie 2 possiede poco di ciò che caratterizzava in positivo il suo predecessore. Non c’è più l’esplosività visuale della composizione scenica – quella costruzione dell’immagine così puntuale nell’organizzazione dei dettagli da risultare materia organicamente tesa all’esaltazione; non c’è più l’imprevedibilità della gag dal tempo comico dilatato, il gioco di parole di assetto fulminante, la citazione ricercata; nemmeno la forza prodigiosa del colpo di scena a forma di cambio di prospettiva, lo scossone del ridimensionamento emozionale interessato al messaggio morale. C’è continuità nella proposta editoriale, coerenza stilistica e attenzione nel contatto con il contemporaneo, ma niente di più. Il sequel del gioiello che ha lanciato l’universo di film a mattoncini è infatti un testo cinematografico molto meno segnante e ispirato, una costruzione dignitosa ma non esaltante, un contributo creativo tanto interessato all’espansione della retorica didattica quanto distratto nel rilancio del racconto animato.
Passati cinque anni dall’invasione degli alieni Duplo, gli abitanti dell’universo Lego abitano in uno stato di disfacimento post apocalittico. Persino Emmet è costretto dopo alcuni avvenimenti tragici a dimenticare la propria felicità per indurirsi e affrontare le nuove difficoltà presentategli dall’universo. In questa cornice narrativa apocalittica il sequel imposta un nuovo arco esplorativo delle identità dei suoi protagonisti, muovendo dalla rivelazione finale del primo capitolo per dilatare il nucleo di significato meta e legarlo ad alcuni problemi sociali attuali. L’azione – stratificata ma meno chiara e appassionante – è infatti ancora funzionale alla pedagogia, che però in questo caso perde i connotati dell’insegnamento familista e si interessa – pur nell’ordine del contesto di riferimento – alla parità di genere e all’importanza della reciproca comprensione. L’intreccio è quindi schema di appoggio che gioca a carte scoperte e organizza le dinamiche al fine esclusivo della formazione del messaggio.
Il film diretto da Mike Mitchell inciampa però in se stesso e nella propria determinazione istruttiva, a causa di una artificiosa orchestrazione educativa colpevole di fagocitare la spontaneità della storia e di viziare la bontà dell’insegnamento. La nuova avventura di Emmet e Lucy soffre quindi della propria dichiarata ambizione, di un tono comunicativo che non possiede spinta genuina e di una focalizzazione contenutistica lontana dall’emozione e molto vicina a un ristringimento di prospettiva. La mancanza di soluzioni formali innovative è ulteriore suggerimento dell’assenza di una direzione capace di plastificare un’interessante molteplicità di messaggi sociali in una sintesi visiva roboante, in tavole visuali composte come casse di risonanza di significato. The Lego Movie 2 è invece troppo interessato al rigore del compito per accorgersi della propria forma sbiadita, evidente anche sotto un fervore colorato, calcato e urlato a gran voce.