venerdì, Novembre 22, 2024

The Lunchbox di Ritesh Batra: l’amore al tempo del fast food

Ho iniziato a girare un documentario sui Mumbai dabbawallas sei anni fa e sono stato con loro per una settimana. Ed è stato interessante vedere quanto sapevano della gente per la quale trasportano ogni giorno cibo. Mi dicevano dettagli su loro, che tipo di cibo amano o che tipo di rapporto hanno con le loro famiglie. Così ho finito per interessarmi più alle persone che ai dabbawallas. La realtà di queste persone era abbastanza affascinante e mi ha ispirato a scrivere lo script – Il mio primo progetto era pronto nel 2011.”

E’ nato così The Lunchbox, opera prima di Ritesh Batra, naturalizzato newyorkese ma ora tornato a vivere in India, in forza nelle fila di quel cinema indiano indipendente che ha girato le spalle a Bollywood, senza per questo rinunciare a co-produzioni internazionali. “Rendono un prodotto universale – afferma il regista – quando hai un finanziamento internazionale si vede la differenza. Collaborando si fa un film artisticamente rilevante anche rispetto ad altre culture”.

Dunque editor e direttore della fotografia statunitensi, ingegnere del suono e compositore tedeschi e così via, ma lo script  resta indiano fino al midollo, incentrato com’è su una figura tipica di quel mondo, il dabbawalla. Nato per essere un documentario sugli “uomini-pranzo” di Mumbai (questo è infatti il significato di dabbawalla), cinquemila uomini che ogni giorno distribuiscono milioni di scatole con il pranzo fatto in casa negli uffici della città, il progetto si è trasformato in film quasi per combustione spontanea La “scatola da pranzo” è in India una pratica quotidiana, ne sappiamo qualcosa almeno dai tempi dei famosi reportages di Rossellini, negli anni ’60, ma vederle all’opera continua ancora ad avere un fascino quasi esoterico per noi occidentali, imperterriti masticatori da fast food.

C’è in quelle scatole viaggianti il senso di una famiglia che vuole a tutti i costi sopravvivere, pieni come sono di buone cose cucinate secondo ricette millenarie da mogli e madri.
E guai se manca una spezia, ci può essere la zia del piano di sopra che se ne accorge dall’odore e la manda giù col cestino appeso ad un filo! Impossibile capire attraverso quali codici e meccanismi della distribuzione le scatole riescano ad arrivare al destinatario ogni giorno, puntuali. Uno studio di Harvard ha dimostrato che l’incidenza di errore è di una volta su sedici milioni.

Però succede, e può nascere un amore (o quasi). Ila (Nimrat Kaur) e Saajan (Irrfan Khan) lo dimostrano. Chiusi entrambi in una di quelle prigioni in cui l’umanità è così abile ad autoinfilarsi buttando via la chiave, lei è bloccata in un matrimonio senza amore (marito formale nei modi e assente nella sostanza, figlioletta timida e silenziosa), lui è un travet alle soglie della pensione, rimasto da anni a vivere col ricordo della moglie morta e la tipica misantropia dell’uomo che sta invecchiando solo. Il fatale errore di consegna fa scattare l’intreccio su cui Ritesh avvita un film generoso e discreto, una favola romantica al tempo dei Mc Donald. E’ un tocco di follia seguire le riprese girate dal vivo, con incredibili equilibrismi nel caos di Mumbai, lungo il percorso che da vassoi speciali in bilico sulle teste dei dabbawallas, o caricati su biciclette, arrivano al treno, in un convoglio ad hoc che li deposita dove altri dabbawallas li prendono e via, ad ognuno il suo con la precisione di un orologio svizzero. Quello verde brillante di Ila, però, arriva sulla scrivania di Saajan piuttosto che al marito (il quale mostrerà di non accorgersene neppure) per via di quell’unico caso su sedici milioni.

E’ il sassolino che devia il corso di un fiume, l’azzeramento dei classici sei gradi di separazione, la piccola scintilla che suscita il grande incendio. Bigliettini rigorosamente scritti a mano si susseguiranno dentro uno dei reparti del lunchbox, scatola a più piani per un pranzo completo e dieteticamente corretto. L’incredibile equivoco prende gradualmente la forma di un discorso amoroso sottile, un po’ timido e inespresso, ma avvertito da entrambi, un sogno che si riesce a credere vero, almeno fino al risveglio. Saajan continuerà a gustare manicaretti sempre più deliziosi e la dolce Ila a sognare di poter finalmente avere quell’amore che la vita le ha negato. Poi dovranno svegliarsi.

La sfida che Ritesh Batra vince di parecchie misure è nel riuscire  a tenere ben saldo in pugno il senso della realtà, schivando abilmente le secche di facili cadute zuccherose.
Vigile nel dosare l’ingrediente sentimental-patetico, abile nel mescolare le varie essenze, dal serio al comico, dalla presa diretta al sogno evanescente, il tocco dello chef lo dà Shaikh (Nawazuddin Siddiqui) il nuovo collega che dovrebbe sostituire Saajan dopo il pensionamento. E’ su lui che si esercita tutta la scorbutica asocialità dell’anziano, ma sarà la spiazzante reazione del giovane, un orfano di famiglia che deve cercare di sopravvivere in una città caotica e difficile, a dare il giusto sapore agro-dolce alla storia, spezzando le barriere di Saajan. La cucina di Ila farà il resto.

Ma non vissero tutti felici e contenti, o almeno Ritesh Batra non lo dice.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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