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The Most Beautiful Day – il giorno più bello, nelle sale il patinato film di Florian David Fitz

L’attore regista Florian David Fitz si interroga sugli ultimi giorni di due amici, entrambi con pochi giorni di vita davanti. Ispirato ad una raccolta di scritti elegiaci, Fitz si è chiesto cosa succederebbe a due persone nelle condizioni dei personaggi raccontati. Cosa conta davvero nella vita? Cosa lasciarsi alle spalle e cosa conviene vivere fino in fondo? Per il regista tedesco il centro di tutti questi interrogativi risiede nell’espressione di una libertà radicale, come ha avuto modo di sottolineare in numerosi contesti, che trova compimento nell’ultima parte del film, interamente ambientata nel deserto.

Alla sua seconda prova come regia, Fitz si fa affiancare sullo schermo dal popolare attore tedesco Matthias Schweighoefer. Questo Road movie con sfondo africano e nient’affatto inusuale, riconduce direttamente al lavoro di Fitz come sceneggiatore per il film del 2010 diretto da Ralf Huettner. Vincent will Meer seguiva il percorso verso l’Italia di Vincent, un giovane affetto dalla sindrome di Tourette e interpretato dallo stesso Fitz. Il rifiuto delle istituzioni e delle terapie, gli ultimi desideri da soddisfare e la libertà di scelta simbolizzata dal rapporto dei personaggi con il viaggio e il paesaggio,  è un approccio che accomuna i due film, oltre ad altri titoli che recentemente hanno affrontato nello stesso modo tematiche di questo stesso tipo.

Benno (Fitz), narcolettico tutta la vita, si trova a dover combattere con un tumore al cervello assolutamente incurabile. Ricoverato nella stessa camera di Andi (Schweighoeffer) in lotta con il sistema immunitario, instaura una solida amicizia fino a decidere di intraprendere un viaggio suicidale, che dovrebbe terminare con l’ipotesi di porre fine alle proprie vite dopo aver vissuto una giornata indimenticabile, la più bella in assoluto.

Preoccupato di trovare un’edificante rapporto tra coscienza e paesaggio, Fitz realizza un tiepidissimo film sul fine vita, dove a uscirne totalmente falsata alla fine è l’immagine dell’Africa contemporanea, mostrata attraverso un filtro decisamente turistico e patinato, complici anche la fotografia di Siggi Mueller e la colonna sonora ingombrante e banalissima di Egon Riedel

 

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