martedì, Novembre 5, 2024

The Reach – Caccia all’uomo di Jean Baptiste Léonetti: la recensione

Figure nel paesaggio quelle che occupano il deserto di The Reach, ma rispetto alla caccia loseyana o più recentemente alla lotta per la sopravvivenza di Vincent Gallo nella wilderness di Essential Killing, Léonetti sembra voler ripercorrere una tradizione di genere ben più antica esasperandone gli aspetti iperrealistici come accadeva nel cinema di William Friedkin o in quello di Sam Peckinpah, due riferimenti a cui guarda con una certa insistenza e che tradisce quasi subito per l’ossessione di anteporre i concetti alla forza dei corpi a contatto con la natura.

E se rispetto al precedente Carré blanc la chiusura dello scenario distopico sembra lasciare il posto allo sguardo libero nella vastità dell’orizzonte, il dispositivo ha le stesse caratteristiche meccaniche, con i personaggi che svolgono un ruolo funzionale rispetto ad un’ingombrante architettura simbolica. Sono due film molto simili quelli realizzati dal regista di origini francesi, entrambi appesantiti da un’esplicita posizione morale che non consente a Léonetti di realizzare qualcosa di veramente sadico e selvaggio.

Tratto dal romanzo di Robb White intitolato Deathwatch e già portato sullo schermo negli anni settanta da uno specialista di produzioni televisive come Lee H. Katzin, semplifica la dinamica classista di Carré blanc con l’intenzione di portare avanti un cinema duellante, senza aver la minima idea di quanto il paesaggio stesso debba diventare parte del confronto invece di rimanere semplicemente sullo sfondo.

Non a caso si sofferma sulle differenze tra il giovane idealismo di Ben (Jeremy Irvine) e l’anti-etica di John Madec (Michael Douglas), capitalista sfrenato il cui rapporto con la natura passa attraverso una riduzione della distanza tra ostilità e comfort. La macchina super accessoriata di Madec è una sorta di autoblindo militare ricco di armi, dispositivi temporizzati per produrre cafè o per sfornare bistecche degne di una steak house; tutti gli imprevisti di un habitat incontaminato passano sotto il rullo compressore dello sfruttamento, incluso il nativo ucciso per errore.

Alla figura del conquistatore Léonetti contrappone quella del ragazzo attaccato alle proprie radici e rispettoso delle regole che orientano la vita di ambiente selvaggio e indifferente come quello del deserto.

È tutto molto esplicito nel film di Léonetti, con il punto di vista di John Madec ad altezza mirino e Ben che diventa la preda da stanare, confuso in un contesto naturale che conosce e sa interpretare.

The Reach allora si appiattisce sull’imitazione di un western post-moderno sbiaditissimo, con la dinamica del duello ritagliata sul profilo di un’immaginetta senza sangue né disperazione, dove i due punti di vista rimangono speculari e non entrano mai veramente in conflitto, anche dal punto di vista scopico. Lo sguardo di Léonetti, diversamente da quello non riconciliato del Friedkin che girava lo splendido The Hunted, sembra preferire l’esperienza mediata di tipo videoludico o comunque la trappola per topi regolata da uno sguardo onniscente (Carrè Blanc era esplicitamente così) e che teme la messa in scena senza riuscire a confondersi con essa.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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