Esiste una speranza, secondo Ken Loach. Esiste, nell’esempio di chi ha lottato per affermare i propri diritti, di chi ha creduto in un mondo migliore. The spirit of ’45 è film della memoria che rievoca i grandi cambiamenti che hanno trasformato la Gran Bretagna subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con la vittoria nelle elezioni politiche dei laburisti e la nascita di un Welfare State che ha garantito diritti, lavoro e salute per tutti.
Loach alterna materiali di repertorio con interviste in primo piano di chi ha vissuto il periodo o di chi lo ha analizzato, realizzando un documentario attento all’analisi e alla ricostruzione storica che non nasconde il suo spirito di parte. Il racconto si costruisce per immagini in bianco e nero, ma anche oralmente attraverso i ricordi e i punti di vista di persone comuni che sono state testimoni dell’ascesa al potere del partito laburista; c’è Sam Watts, vecchio minatore, che ricorda le condizioni igieniche impossibili della Gran Bretagna degli anni ’30; c’è Dai Walters, anch’egli minatore, che rivive con emozione il fervore politico del periodo post-bellico, la volontà di costruire un nuovo Stato, di impegnarsi in prima persona per conquistare una dignità sociale. Il cinema della memoria di Loach diventa cinema della partecipazione, cinema della collettività che innalza il passato come luogo ideale nel quale ritrovare l’etica e la morale per affrontare il presente. Perché, sottolinea Loach, c’è una netta cesura tra lo spirito del ’45 e lo spirito del 2013. In mezzo è passato il ciclone Thatcher, lo smantellamento dello stato sociale, la corsa al capitalismo disumano e all’individualismo sfrenato e, oggi, i sacrifici e le conquiste politiche di ieri sono solo un ricordo lontano.
Se a livello di temi proposti, The spirit of ’45 rappresenta un ulteriore capitolo nel cinema militante di Loach, la forma e lo stile segnano una novità nel percorso dell’autore che per la prima volta scopre il documentario, il genere che meglio di tutti ha saputo raccontare la realtà nel cinema del XXI secolo. La crescente popolarità del cinema no-fiction ha portato ad un’evoluzione degli specifici di questo genere, certificata da un rinnovamento del linguaggio in chiave moderna. Gli studi recenti hanno dimostrato come l’universo del documentario sia vasto ed eterogeneo, ricco di esperienze diverse tra loro. E se è sbagliato negare la parzialità a-storica del genere (nessun documentario può essere obiettivo in quanto già il punto di vista dell’autore, per quanto impermeabile sia, è una scelta che indirizza il racconto), occorre notare come, da Michael Moore in poi, il documentario ha avuto la forza di schierarsi, ha avuto la forza di raccontare senza schermi e senza compromessi la realtà. E’ questa la strada imboccata da Ken Loach in The spirit of ’45: la mancanza della voce over, il montaggio ridotto all’osso, il racconto affidato alle immagini di repertorio e ai ricordi degli intervistati sembrano prevalere sull’istanza autoriale. Ma nella sequenza finale Loach si riappropria del suo essere “regista”, usando il Technicolor per ridare colore e modernità alle immagini iniziali del film, quelle della fine della Seconda Guerra Mondiale e della felicità dei giovani nel ritrovare la vita normale. Il filo rosso che univa passato e futuro è stato spezzato dal Thatcherismo e dalle sue conseguenze sociali e politiche. Ma quel filo rosso resiste ancora e Loach lo passa idealmente ai giovani di oggi, sperando che le conquiste delle generazioni passate servano da stimolo per la rinascita di una politica a favore dei più deboli.