Home alcinema Tideland – il mondo capovolto di Terry Gilliam: la recensione

Tideland – il mondo capovolto di Terry Gilliam: la recensione

A due anni di distanza dalla sua realizzazione, Tideland esce nelle sale Italiane con un monito per tutti i minori di 14 anni a non addentrarsi in quest’incubo infantile e con una distribuzione difficile curata da Officine Ubu. E’ probabile che la sfiducia commerciale nei confronti del film sia legata ad una convivenza irrisolta di tutti gli elementi che fanno e hanno sempre fatto di Terry Gilliam un regista sopravvalutato e allo stesso tempo sottovalutato. La fede nel decòr piuttosto che nella visione allontana facilmente dalla percezione di quello che è anche il viaggio in una striscia di tempo collassata su se stessa, ossessione per l’avvitamento del racconto in uno spazio minacciato dalla mutazione, che a partire da Time Bandits è forse la vertigine più interessante del cinema di Gilliam e che lo rende un creatore di oggetti polimorfi, a metà tra il compiacimento del congegno e la distruzione dello stesso; oggetti praticamente invendibili. 

La favola Dark è il trucco, l’orpello visionario, un frammento di racconto in cerca di trovate; un luogo di orrori molto vicino e più innocuo dei riflessi surrealisti presenti nel Cinema di Philip Ridley, qui riprodotti con la complicità narrativa di Mitch Cullin.

Eppure, anche se l’anarchismo di Gilliam che ci interessa non è quello della manfrina trasgressiva, la violazione di corpi e oggetti in Tideland è davvero sorprendente; il congegno qui si inceppa e comincia a riferirsi al cinema d’animazione come al luogo di massima dilatazione spaziotemporale. Al di là del solito Svankmajer, ormai saccheggiato anche da videomaker beneducati, vengono in mente gli oggetti di Jiri Barta, ricreati nella loro flagranza meccanica come grimaldelli scagliati contro il racconto, qualità materica dei movimenti e delle cose. Jeff Bridges morto, ripulito da tutta la merda e dai suoi organi, ricucito come oggetto sacrale, intercapedine per un aldilà beffardo e blasfemo, carcassa cartoon da profanare all’infinito.

E’ un mondo che si reinventa costantemente a testa in giù, un movimento capovolto che fugge dall’occhio di Jodelle Ferland. Si legge su Tideland di valori rovesciati, di un mondo alla deriva, degli occhi infantili che subiscono l’orrore, quando quell’orrore e quella perversione, cosi come in Ridley o nel Ballard che parla di tirannia dell’amore parentale, ha la forza tellurica dello sguardo amorale. Se fossimo interessati davvero al Gilliam fintobarocco e sopravvalutato e allo sviluppo di un qualsiasi apologo, questo avrebbe la forma di una violenta e liberatoria fiaba antiproibizionista, dove l’orrore, in quell’esplosione ferroviaria che è il deragliamento del tempo, Jodelle/Jeliza lo trova davvero nel momento in cui passato e futuro collidono e la protezione di una madre fuori dal tempo si manifesta come la prigione più orribile per qualsiasi immaginario.

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