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Tutte lo vogliono di Alessio Maria Federici: la recensione

Alessio Maria Federici si smarca da Luca Miniero e sopratutto dalla firma televisiva di Elena Bucaccio, con cui aveva collaborato per il precedente Fratelli Unici, affidandosi questa volta a due penne quasi esordienti: Valentina Gaddi e Alessandra Di Pietro, assistite da Michela Andreozzi, volto che ha attraversato come attrice numerose delle ultime commedie di produzione italiana, inclusa Tutte lo vogliono.
Federici si lascia andare ai tempi della commedia degli equivoci spingendo il pedale sui doppi sensi e su quella volgarità quotidiana che con risultati del tutto diversi, infonde vitalità alle commedie statunitensi.

Dove Fratelli Unici mancava totalmente di logica affettiva, Tutte lo vogliono fa un passo in avanti nel connettere il meccanismo della gag con i sentimenti dei personaggi, elaborando un percorso di formazione che ha certamente molta più credibilità rispetto allo smemorato interpretato da Raoul Bova. Chiara, la food designer anorgasmica interpretata da Vanessa Incontrada, è una figura ritagliata sull’attrice di origini spagnole e sul suo erotismo confidenziale, chiuso nell’involucro gelido di una donna in carriera legata ad un mondo costruito su rapporti formali.

È certamente sconfortante il contesto quasi fiabesco dell’azienda a conduzione famigliare dominata da una madre acida, dove il proletario Orazio (Enrico Brignano) arriva per sparigliare le carte, ma al netto delle solite banalità di grana grossa, il rapporto del coiffeur per cani con il mondo animale e il progressivo avvicinamento di Chiara ad una dimensione più libera e naturale della sessualità, sfiora con delicatezza la mutazione di un sentimento, guidando il personaggio passo passo. Se non altro, per il continuo riferimento a macachi, scimpanzé e uccelli, si evita quel buonismo che minava alla base Fratelli Unici, dove ogni cosa sembrava scritta per sottolineare il percorso sentimentale, senza alcuna capacità di renderlo vivo con i gesti e nel ritmo delle situazioni.

Con Tutte lo vogliono sembra che Alessio Maria Federici abbia cominciato ad offrire maggior respiro ai suoi personaggi, accettando la disfunzione come occasione per  lavorare in modo più approfondito sul contrasto.

Rimane, sfortunatamente, troppo forzata la dicotomia tra un mondo che non riesce a comunicare e la semplicità ostentata di Brignano. In entrambi i contesti si respira purtroppo quel sentore teatrale che mette una quinta tra vita e cinema, esacerbando i contrasti e riducendo la descrizione dei sentimenti a quella ricerca della semplicità tra campagna e città, natura e vita urbana recuperata dalle schermaglie nel cinema di Castellano & Pipolo in modo molto meno convincente. Tendenza che oltre al pessimo Siani sembra aver convinto anche il decisamente migliore Paolo Genovese

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