Come far sembrare incesto qualcosa che incesto non è? Attenzione, non siamo dalle parti di Kim Ki Duk, e nemmeno Freud ci può dare una mano, si tratta di Two Mothers, l’ultima fatica di Anne Fontaine aprés Chanel.
Sulle rive dell’Oceano, in un angolo di Paradiso australiano dove un Dio benevolo ha costruito due splendide case per quattro splendidi esemplari umani, madri e figli, ed ha espulso il resto del mondo, mariti compresi, ridotti a mere comparse (uno dei due, anzi, è morto ancor prima di entrare in scena) si consuma una storia vera che ha tutti i caratteri di improbabilità del sogno.
Nel singolare ribaltamento tra sogno e realtà, quest’ultima sembra incestuosa senza esserlo, e dunque più che Freud si potrebbe chiamare in causa, forse, Lacan. Ma lasciando perdere approdi approssimativi nella psicanalisi e scendendo molto terra terra, là dove il film si colloca, va doverosamente ricordato che c’è un originale celebre alle sue spalle, ed è il racconto tratto da The Grandmothers: Four Short Novels del premio Nobel Doris Lessing, in italia pubblicato con il titolo de “Le nonne”.
Nel 2003 Lessing scriveva la storia vera di sesso e amore, con un incrocio chiastico di madri e figli da antologia della trasgressione, che un ragazzo le aveva raccontato. Dieci anni dopo Anne Fontaine, con la collaborazione di Christopher Hampton alla sceneggiatura (ricordiamolo per Le relazioni pericolose), compie lo scempio più patinato fra i tanti che si consumano allegramente fra cinema e letteratura. Chi abbia letto il racconto e conosca l’anticonformismo di Lessing, farà bene a dimenticarli prima di vedere il film.
“In America si è parlato addirittura di incesto di cui non c’è traccia nel mio libro.” Il sottile, finissimo argomentare e suggerire della sua prosa si liquefa al sole che splende sul limpido mare infinito, dove i nostri eroi affondano spesso come in calda placenta. Due amiche, inseparabili fin dall’infanzia, stessa spiaggia stesso mare, finalmente procreano e i giovani virgulti di sesso maschile crescono. Arrivati all’età dello sviluppo, incrociano i loro tumulti ormonali con gli stessi, uguali e contrari, delle rispettive madri sul viale del tramonto, ma ancora insopportabilmente toniche e belle. Ragazzoni muscolari di cui le due donne vanno giustamente fiere, guardandoli scivolare sulla cresta delle onde con i loro surf a somiglianza di Dei, diventeranno i loro amanti per la considerevole durata di due anni, tempo massimo concesso dal Fato prima che i due si decidano a far qualcosa per lavorare. Sarà così che la magica bolla costruita intorno a loro quattro si spezzerà, e come tsunami entrerà il mondo circostante a distruggere quel fragile equilibrio sessual/amoroso. Ma niente paura. Le due madri, diventate due nonne, cambieranno di poco. Invece che quattro ora saranno in otto, con nuore e nipotini, ma di rughe e cellulite neanche l’ombra. Men che meno mariti o altri amanti, soltanto loro, per un universo assolutamente endogamico.
Dunque non è incesto quello che si consuma fra le due coppie, nessun tabù trasgredito che maceri le coscienze, nulla che somigli al sublime vortice della coscienza tragica.
Con Two mothers siamo solo ai confini del porno, ma non di quello autentico. Di pornografico ha tutto l’armamentario, condiviso a pieno titolo con una soap opera sud americana: i confini della visione pudicamente non varcati a fronte di un immaginario rimosso selvaggiamente impudico, un dialogo spesso al limite della banalità più spietata (“Abbiamo attraversato una linea” dice Lil /Naomi Watts a Roz/Robin Wright e lì finisce lo scavo nel dramma), interni ed esterni da Guide Oro del Touring per tenere incollato alla poltrona il povero spettatore in cerca di evasioni low cost.
Per un film che parla di regole della società civile così clamorosamente trasgredite è un’imperdonabile pruderie, una mancanza di coraggio a cui si crede di supplire con quintali di scenari naturali mozzafiato e due bellissime sirene su cui il tempo sembra scivolare immune. Robin Wright, statuaria e felina, continua anche da nonna a girare con short mozzafiato. Naomi Watts ha sempre quell’aria di bamboletta vulnerabile che sta per piangere da un momento all’altro, magari perché ha bevuto troppo, mentre il trucco fatica terribilmente a tenere sulle sue rosee guanciotte. Dal racconto di un premio Nobel, ecco Two mothers, una piccola storia borghese per cultori del porno soft.