domenica, Dicembre 22, 2024

Un momento di follia di Jean-François Richet – la recensione

Le origini di questo film per niente folle girato nel 2015 da Jean-François Richet risalgono ad una regia di Claude Berri del 1977. Richet, regista francese già esperto in reboot e remake, alla vigilia del suo lavoro americano sceneggiato da Peter Craig (The Town e i primi due Hunger Games) rielabora Un moment d’égarement togliendo tutta l’ingenuità provinciale del film interpretato da Jean-Pierre Marielle senza avvicinarsi, neanche da lontano, all’edonismo erotico scandito con i tempi di una commedia ad orologeria che nella versione diretta da Stanley Donen sette anni dopo quella di Berri (Quel Giorno a Rio) vedeva una giovanissima Demi Moore confrontarsi sul terreno del desiderio con un Michael Caine che aveva superato la quarantina. Vincent Cassell è più avanti con gli anni, ma il suo personaggio si avvicina molto più a quello interpretato da Caine che non al pacioso aspetto professorale di Marielle. La costa azzurra filmata da Berri con la fotografia sporca e verace di André Neau diventa la campagna intorno alla Corsica, ma l’immagine fotografata da Robert Gantz, con Richet dai tempi di Assault on precint 13 e qui affiancato dal più bravo Pascal Marti (direttore della fotografia per Ozon, Cédric Kahn, Téchiné) non si eleva dalla media televisiva del quadretto d’ambiente.

Laurent (Cassel) passa le vacanze insieme alla figlia diciottenne Marie (Alice Isaaz) nella casa di campagna dell’amico Antoine (un viscerale e animalesco Francois Cluzet). Insieme a loro Louna (l’esordiente Lola Le Lann), figlia di Antoine e completamente assorbita dalla voglia di divertimento, negatole dalla noiosa località vacanziera. Una festa notturna in riva al mare consentirà alla ragazza di sedurre Laurent, che da guardiano delle due adolescenti, si trasforma nell’amante per una notte della giovane ragazza.

Da questo momento in poi, la vita in comune, le cose non dette e gli equivoci di grana grossa, orientano il film dalle parti di un piccolo racconto di formazione affettiva, con i contrasti generazionali facilmente individuabili, il confronto tra vita e tomba del matrimonio, i rapporti padre-figlia e l’aggressività animalesca di Antoine, padre che pretende di avere tutto sotto controllo mentre ammazza cinghiali a ripetizione, la voglia di libertà e protezione di Louna, la gelosia di Marie e ovviamente l’eterna giovinezza di Laurent, il cui confronto con l’ombra dell’ex moglie e una nuova vita di libertà, lo coglie in una terra di mezzo che non prende mai forma, scegliendo la dimensione dell’incertezza, che è poi quella dello stesso Richet.

Anche quando i toni rosa trasformano il film in dramma, con l’intenzione di indagare fragilità e lati oscuri dei suoi personaggi, Richet non riesce mai ad avvicinarsi a loro con quell’onestà e quella leggerezza necessaria che per esempio, era presente nelle commedie di Claude Pinoteau da “Lo schiaffo” fino a “Il tempo delle mele”.

Motivazioni, ma anche gesti, si susseguono ex abrupto senza alcuna necessità di avvicinarsi all’una o all’altra generazione, tanto da concentrare gli unici momenti veramente vitali nel confronto dei corpi e nell’esuberante erotismo di Lola Le Lann, una cosa da dieci minuti insomma, troppo poco per giustificare la distribuzione di un titolo tra i peggiori del cinema francese coevo, mentre quelli migliori spesso non arrivano nelle nostre sale. Che sia giunto il momento di raccontare chi sono e quali competenze hanno i “nostri” acquisitor?

Redazione IE Cinema
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