Durante la proiezione di Un vrai faussaire di Jean-Luc Leon un corpulento signore con cappello seduto al centro della sala scoppia più di una volta in fragorose risate: si tratta di Guy Ribes, il protagonista stesso del documentario, che per la prima volta si rivede sullo schermo e ride divertito perché, confesserà poi, ha scoperto di possedere un grande senso dello humour.
Un personaggio straordinario Ribes, capace di rendere indimenticabile un documentario che non brilla certo per scelte stilistiche, dalle estemporanee e disarticolate apparizioni del regista ai risibili suoni utilizzati al posto del beep di censura (rilassatevi, non ci sono animali in sala).
L’idea di questo progetto nasce nel 1994 quando Leon cerca, senza successo, falsari per il suo documentario Un marchand, des artistes et des collectionneurs. È la condanna di Ribes, nel 2010, ad offrire la rara occasione di intervistare il primo falsario incriminato di cui si conosca il volto, e non uno qualunque. Le opere di Guy Ribes si trovano nelle collezioni private e nei cataloghi raisonné di mezzo mondo, certificate e indistinguibili dagli originali.
Lo vediamo all’opera, creare con fluida naturalezza un Picasso, un Matisse, un Léger. L’arte non sta nella perfezione del risultato ottenuto, quanto nella precisa comprensione della sensibilità dei pittori imitati: un rispetto che trasforma un falso in partecipazione, dice Ribes.
Il film solleva una riflessione non marginale sul diritto d’autore e sui canoni estetici che decidono della legittimità di un’opera d’arte: non è un passato poi tanto lontano quello in cui si chiedeva ai ragazzi di bottega di imparare a creare secondo lo stile del maestro. E se il mercato è agito con le stesse dinamiche da artisti e committenti, oggi come allora, ad essersi spostato è l’asse dell’interesse, secondo Ribes più orientato al denaro che all’arte.
E della condanna subita parla come di una liberazione: ‘Il giorno in cui mi hanno arrestato sono finalmente diventato pittore e la prossima volta che ci incontreremo sarà per parlare della mia arte.’