lunedì, Dicembre 23, 2024

Una di Benedict Andrews: la recensione

Il regista teatrale Benedict Andrews debutta dietro la macchina da presa adattando “Blackbird“, la piece del drammaturgo David Harrower, qui sceneggiatore. Ambientato in una stanza e con soli due personaggi, il lavoro di Harrower viene dilatato da Andrews, pur mantenendo una dimensione claustrofobica. La “Break room” in cui Una e Ray si confrontano diventa l’intera azienda per la quale l’uomo lavora, luogo asettico e anaffettivo dove potersi nascondere, piccolo labirinto chiuso nella geometria dei volumi architettonici.

Una (Rooney Mara) è una giovane donna che vive con la madre nella suburbia britannica. Di notte frequenta i club del luogo dove consuma momenti di sesso occasionale. Il passato la perseguita e mentre i giorni di un’adolescenza traumatica emergono a poco a poco attraverso una serie di flashback, la fotografia di un uomo d’affari la colpisce, facendo riemergere gli aspetti più oscuri della sua memoria. Dopo averlo rintracciato nell’azienda per cui lavora e dove ha cambiato nome da Ray (Ben Mendelsohn) a Peter, i due si confronteranno in modo aspro sulle vicende che ancora li legano. Quando Una aveva 13 anni (Ruby Stokes), Ray era il vicino di casa del padre; la prossimità tra i due diventa sempre più pericolosa fino a confondere le origini della seduzione. L’uomo diventa l’amante della giovane ragazza e i confini tra desiderio e abuso diventano labilissimi.

Andrews si muove su questa linea sottile e pericolosa, sin da quando ci mostra Una a tredici anni, filmata per la deposizione in tribunale; è l’unica immagine a colori tra quelle filtrate dagli schermi processuali e ci dice qualcosa attraverso un maglione rosa shocking e “Down By the water” di Pj Harvey, l’unico brano che emerge ad alto volume dai soundscapes dell’ottimo Jed Kurzel, quasi per tracciare una linea tra quelle liriche sfuggenti e una traumatica educazione sentimentale.

Come la figlia immaginaria nella canzone della Harvey, Una riemerge dall’acqua profondamente mutata. Diventa donna suo malgrado e allo stesso tempo, nel passato, sente il desiderio e la pulsione di uscire il prima possibile dall’involucro che la costringe al tedio adolescenziale.

Rooney Mara incarna perfettamente i tratti di una figura spettrale, un fantasma emerso dal passato e che da questo non riesce a liberarsi. La richiesta di verità è legata più all’esperienza dell’abbandono che a quella dell’abuso. Entrambi i personaggi rivendicano un amore mai consumato sino in fondo, rimasto schiacciato dalla paura e da uno sfalsamento irrecuperabile. Entrambi si perdono e si sentono abbandonati l’una dall’altro.

È su questa incertezza che Andrews cerca di cambiare la percezione sull’abuso desumendo, insieme a Harrower, un’ambiguità di matrice Nabokoviana. Ray/Peter è un personaggio molto meno tragico di Humbert Humbert e non è guidato dalla perversione luciferina di Claire Quilty, ma la sua rinascita entro un contesto alto-borghese lo colloca in una posizione dove l’addomesticamento dei desideri più oscuri diventa l’unico prezzo per sopravvivere.

Andrews non è minimamente interessato ad indagare le motivazioni psicologiche della pedofilia né a cercare facili scorciatoie per giustificarne l’espressione. L’abuso perde di sostanza e come dicevamo lascia spazio ad un sentimento più complesso legato all’abbandono e all’inadeguatezza rispetto al contesto sociale abitato, in questo modo stabilisce e viola allo stesso tempo un patto con lo spettatore, costringendolo a rigettare convenzioni e ad accettare l’inaccettabile.

I flashback che chiariscono la relazione tra i due hanno quasi sempre una dimensione onirica e Andrews si sofferma sui riflessi di sole che illuminano i volti dei due amanti, sulla vegetazione del parco, sui volti che esprimono incertezza, attesa, paura, fino ad utilizzare tutti questi elementi in forma ellittica ed allusiva, come nella sequenza in cui Una già adulta si sistema nella camera della figliastra di Peter, occupando nuovamente il posto di un’adolescente, in mezzo ai colori e agli oggetti di quell’età.

Una è un film di spazi, interiori e architettonici, sottoposti a progressivo svuotamento; come vuote sono le stanze dell’azienda dove Una e Ray/Peter si perdono, luoghi dove il desiderio viene cancellato da una geometria funzionale che congela il tempo in un eterno presente, confinando il desiderio nella dimensione irraggiungibile del sogno. 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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