Che la fonte primaria di ispirazione alla base delle tre notti al museo di Shawn Levy fosse il cinema di animazione, anche nella sua declinazione fantascientifica e creaturale (Ernest B. Schoedsack, Jack Arnold) era chiaro sin dall’inizio; in questo senso il terzo episodio della serie non aggiunge niente di nuovo tranne una serie di appigli metalinguistici, alla Duck Amuck tanto per intendersi, con Ben Stiller incapace di staccarsi dall’universo che ha in qualche modo generato e Robin Williams che al contrario desidera ritornare “nel quadro”, abbandonando la vitalità della dimensione cartoonistica per tornare in quella museale.
Rispetto alla centralità visionaria di “Who Framed Roger Rabbit?” o di “Jurassic Park”, ovvero rispetto alla precognizione di un cinema che sarebbe stato, in quel crocevia perturbante tra live action e animazione, animatronics e attori, film e CGI, cinema e realtà virtuale, è ovvio che l’universo di Una notte al museo 3 sia appunto “incastrato” nello spazio museale, costretto a guardarsi indietro rispetto ad una prassi consolidata così da ricorrere all’omaggio citazionista, alla riproduzione di un diorama, al confronto teatrale tra simulacro e attore (Hugh Jackman contro Lancillotto), alla simulazione del mestiere degli effetti speciali come un gioco di prestidigitazione, fino all’ingresso nella quarta dimensione, con Escher al posto del Salvator Dalì di “Looney Tunes: Back in action“, dove la mutazione delle leggi spazio temporali è in un certo senso la stessa che genera l’espansione dell’universo animato di Joe Dante, ma l’occhio sembra quello “pop” e “catodico” di Steve Barron per gli a-ha, con meno disegno e più “painted renditions”
Per il resto, la collisione di universi mitopoetici eterogenei funziona meglio nell’ultimo James Gunn oppure, genera mutazioni molto più dolorose, considerata la presenza di Jackman che fa il verso a Wolverine, nel bellissimo film di James Mangold dedicato al lupo mutante della Marvel.
Qui siamo al livello di un giochino di combinazioni binarie molto semplici, come il doppio teatro/diorama, il doppio Ben Stiller, e forse, in un momento di commozione nostalgica, il doppio Robin Williams e il suo ritiro silenzioso nello spazio della memoria.