In Unfolded l’inquadratura sopravvive sempre al passaggio della sua protagonista. Questo dato ambientale della messa in scena non è indifferente: anche se il corto di Cristina Picchi si presenta come un ritratto femminile chiuso nelle geometrie di una possibile violenza domestica, di un litigio consumato tra le camere, assorbito dalle pieghe dei vestiti e riassunto nella frantumazione del vetro, presto l’escursione in esterna della protagonista si rivela fondamentale per la composizione psicologica che è al centro del piccolo racconto.
Il coro di luci urbane non è ripreso quindi in maniera indifferente, anzi, è colto da una regia capace di sfruttare le potenzialità di senso del contesto. L’inseguimento del personaggio femminile si svolge quindi per inquadrature fisse che la riprendono passare da un punto all’altro della città senza apparente destinazione e senza finalità: la sua figura passa attraverso lo schermo e l’immagine del mondo che abita resiste sempre qualche secondo dopo la sua presenza.
Questa scelta suggerisce da una parte la natura eterea e disgregata di una psicologia massacrata da un dolore sconosciuto, l’impossibilità di tale debolezza di attaccarsi al mondo e di resistere all’interno dell’immagine; dall’altra la facilità con cui il contesto – la natura metropolitana, la società – smaltisce e dimentica l’individuo particolare lungo i margini della rappresentazione. La figura della protagonista è quindi piano piano cancellata per sottrazione, in una metafora visiva che con raffinatezza e senza tesi calcate percorre le sensazioni di un abbandono o di una mancanza di considerazione o di una discriminazione che sottilmente aderisce al mondo e assume i connotati della quotidianità, della normalità.
[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#d38613″ class=”” size=””]Così, mentre la protagonista continua a scomparire e mentre il contesto le regala l’oblio di un’esistenza nel fuori campo, si costruisce l’impossibilità di un’inversione di esistenza, di un ritorno alla presenza corporea per un altro sguardo umano, che invece avviene e coglie di sorpresa.[/perfectpullquote]
La sorpresa che nasce e si concretizza nell’incontro con un altro che ti percepisce e ti guarda come esistente. L’incontro con un uomo non ben definito – che è solo strumento e non garante di esistenza – e la conseguente serata in un locale servono alla protagonista per dimostrarsi presente nello spazio, per resistere dentro al ricordo dell’immagine: in questa parte infatti la regia valorizza il suo corpo felice nel centro dell’inquadratura, riprendendo la gioia di un ritorno alla vita e di una nuova consapevolezza.
La scelta narrativa del corto però non trova quadra nella gioia spensierata, bensì nella chiusura di un movimento circolare che dalla cornice domestica era partito e lì deve tornare.
L’esplorazione psicologica non si conclude solo con la propria sedimentazione felice nel mondo ma con un ricongiungimento necessario che consegna il dolore a chi l’ha provocato e in questo modo lo esorcizza dalla propria persona.
La sofferenza, dopo essersi dispiegata nel mondo e aver incontrato la possibilità di salvezza, è così estraniata e ripiegata in fondo al ricordo.
[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#d38613″ class=”” size=””]L’occasione per rivedere “Unfolded” di Cristina Picchi, programmato al Lucca Film Festival durante la giornata del 17 aprile è prevista per Domenica 21 alle ore 16:00, presso l’auditorium Vincenzo Da Massa Carrara di Lucca, in via S. Micheletto 2, dove sarà replicata l’intera selezione dei corti curata da Rachele Pollastrini per il festival. Per il programma complessivo dei corti è possibile consultare questo programma dettagliato[/perfectpullquote]