domenica, Dicembre 22, 2024

Van Gogh – Sulla Soglia Dell’eternità; Julian Schnabel non convince: la recensione

“Sulla soglia dell’eternità” è il titolo di uno dei dipinti più celebri di Vincent Van Gogh, realizzato nel 1890 tra le mura del manicomio di Saint-Rémy-de-Provence in giorni di difficile convalescenza per il pittore, ricoverato nella struttura a seguito di una violenta crisi di quella malattia mentale che lo tormentò fino alla morte. Il quadro rappresenta l’immagine stessa della disperazione: un uomo solo si tiene la testa tra le mani, seduto su una sedia in un interno anonimo. Il rapporto tra vivace spinta creativa e malattia non può essere tralasciato in qualsivoglia discorso attorno all’opera di Van Gogh: la follia del pittore, per usare un termine tanto comodo quanto vago, è ormai elemento consolidato tanto da aver presto spinto gli studiosi di arte ad approcciare le opere dell’olandese secondo con una chiave di lettura psichiatrica. Adottando questo punto di vista, ecco emergere da quelle pennellate energiche e materiche tutta la violenza del turbamento psichico che ha costretto il pittore ad una vita di sofferenza.

Tutt’altra sfida è rappresentare l’artista alle prese col suo disturbo sul grande schermo. I film e documentari dedicati al pittore sono ad oggi numerosi. Recente è il bellissimo Loving Vincent di Dorota Kobiela e Hugh Welchman, primo film dipinto della storia del cinema in cui la vita di Van Gogh viene raccontata da un punto di vista fittizio. Ma Van Gogh è protagonista anche alla 75° Mostra del Cinema di Venezia, in un nuovo lungometraggio dedicato alla sua figura firmato dal regista e a sua volta pittore Julian Schnabel (autore dell’acclamato Lo scafandro e la farfalla). Il suo film si intitola At Eternity’s Gate, proprio come il dipinto di cui parlavamo. Eppure l’opera di Schnabel non è intrisa di quello stesso senso di pessimismo e disperazione nei confronti dell’esistenza che l’immagine evidentemente restituisce al suo osservatore; il film tenta di approfondire il significato di quel titolo, che è un riferimento alla presenza costante del divino anche nei momenti più infelici dell’uomo, una presenza che Van Gogh dovette sentire molto vicina.

Ma il film di Schnabel fatica a raggiungere l’emotività del più recente lavoro cinematografico sul pittore, lo stesso Loving Vincent. Un racconto cinematografico su uno degli artisti più importanti e amati dell’arte contemporanea non può permettersi il lusso di una rappresentazione approssimativa, che si sforza di ripercorrere alcune tra le più note fasi della vita di Van Gogh (come il rapporto con Gauguin, il taglio dell’orecchio, quel proiettile nell’addome sparato forse dallo stesso Van Gogh) attraverso una narrazione “per sommi capi” che non funziona del tutto. Il regista ha puntato evidentemente di più sull’impianto fotografico del film, con risultati senza dubbio suggestivi: la natura è rappresentata in splendidi campi lunghi in cui la sagoma del pittore si perde, come fosse un tutt’uno con il grano, con i fili d’erba, con i fiori, soggetti semplici che ammaliavano l’artista. Visivamente, dunque, il film è fedele all’opera di Van Gogh, riuscendo a ricreare in immagini reali paesaggi simili a quelli che vediamo nei suoi quadri. Ma l’abbondanza di filtri colorati e una saturazione eccessivamente innaturale dell’immagine in molte scene rende l’esperienza visiva meno piacevole. Il difetto più grande del film, oltre ad una regia non molto brillante supportata da un montaggio troppo poco calcolato, sta quindi proprio in questo suo voler ad ogni costo rievocare per lo spettatore l’opera di Van Gogh, utilizzando filtri e altri trucchi fotografici. Questa è una forzatura non necessaria; meglio allora rivolgere lo sguardo ai veri dipinti: saranno sempre loro a raccontare nel modo migliore vita, morte e passioni del grande olandese.

Michele Bellantuono
Michele Bellantuono
Veronese classe '91, laureato in Filologia moderna e studioso di cinema autodidatta, svolge da alcuni anni attività di critica cinematografica per realtà online. Ha un occhio di riguardo per il cinema di genere e dell'estremo oriente

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