sabato, Novembre 2, 2024

Venere in pelliccia di Roman Polanski: Von Sacher-Masoch, Euripide e Polanski

Due personaggi, una sola situazione e un solo ambiente, un teatro di Parigi in una sera grigia e piovosa d’autunno. La macchina scivola lenta fra due file di platani stillanti acqua lungo la strada deserta, quindi svolta a destra e attraversa.

La facciata tardo liberty in pietra severa del glorioso teatro Récamier (oggi ex teatro che lo scenografo Jean Rabasse ricostruisce con precisione filologica) non invita ad entrare, ma il portone si apre comunque. In platea c’è Thomas (Mathieu Amalric) un regista teatrale che sta cercando l’attrice per il ruolo di Wanda. Ha adattato per le scene Venus im Pelz di Leopold Von Sacher-Masoch. E’ tardi, tutti sono andati via e lui, stanco e deluso da decine di provini fallimentari (“… una aveva perfino l’apparecchio ai denti!” sbuffa al cellulare) vuol solo andarsene a casa dove lo aspettano la dolce Marie Cécile e un cosciotto d’agnello al forno. Ma tutto questo non accadrà.

Sulla porta, dietro pesanti cortine di velluto rosso bordato d’oro, arrivata in ritardo per il provino per problemi di traffico uniti ad un Dio che le vuol male, spunta, fradicia di pioggia e in abbigliamento simil-bordello, la donna per antonomasia, quella che tutte le donne sintetizza in sé, l’inafferrabile essere sempre a portata di mano e sempre sfuggente, la metamorfosi perenne Vanda (Emmanuelle Seigner) senza W doppia. Indomabile forza della natura di cui Polanski tratteggia anche le pieghe più riposte, sfrontata e ritrosa, sicura di sé e bisognosa di accoglienza, ignorante come una capra e profondamente sapiente come un’antica sacerdotessa delfica, in una parola la seduzione nel suo distillato più puro, con poche battute avvolge Thomas in una fascinazione che lo porterà ad una condizione di sudditanza irreversibile.

Sia principessa o sia contadina, porti l’ermellino o porti pelo d’agnello, vi è sempre questa donna con la pelliccia e la frusta che rende schiavo l’uomo” scriveva nel lontano 1870 il Cavaliere Leopold von Sacher-Masoch.

Ma sottrarre Masoch al masochismo e ad un’ingiusta complementarità dialettica con Sade è compito  che Polanski eredita da Deleuze (Présentation de Sacher-Masoch. Le froid et le cruel, 1967): “Appartiene essenzialmente al masochismo l’esperienza dell’attesa e della sospensione. Le scene masochiste comportano veri riti di sospensione fisica, di legatura, di agganciamento, crocifissione. Masochista è colui che vive l’attesa allo stato puro. La sospensione masochiana è essenzialmente differimento, attesa”. Masoch è “essenzialmente un educatore”, aggiunge il filosofo, nel senso che deve educare la donna ad incarnare l’ideale. Il protagonista di Venus im Pelz, Severin, plasma come una scultura la sua “dea” Wanda.
E la nostra Venere postmoderna? Quale ideale incarna secondo Polanski ? E Séverin/Thomas, chi crede di plasmare?
Vanda è un’ironica, sfacciata e vitale creatura di tempi in cui, buttati alle ortiche titoli nobiliari e soggiorni veneziani a cullare le proprie perversioni, si corre in metro e sotto la pioggia a far provini per lavorare e salvare la giornata. Se poi in teatro c’è un “intellettualoide” con moglie ricca sfondata che chiama Derrida il suo cagnolino, allora c’è davvero di che divertirsi. I processi sono gli stessi, fa notare giustamente Polanski, da Euripide in giù c’è sempre qualche metamorfosi da mettere in scena per parlare di uomini e donne, dei e uomini, e un piccolo potente presuntuoso come Penteo, re di Tebe, in dubbio sulla nascita di Dioniso da donna onesta, si può sempre truccare da donna e far morire sbranato dalle Baccanti (anzi, più esattamente, per mano di sua madre Agave).
Cambiano le forme, al grido di Evohè subentra la musica di Desplat, col suo tocco umoristico e leggero, mentre la fotografia di Edelman interviene con quella perfetta illusione di realtà che predispone alla catarsi. La fusione tra arte e vita diventa così totale e Masoch/Séverin sulla scena si collega mediante l’ironia e il paradosso al povero Thomas, “colpito dal castigo di Dio e finito nelle mani di una donna” (come recita la didascalia finale mentre le porte del teatro si richiudono).
Legato al palo simil-simbolo fallico lasciato al centro del palcoscenico dalla troupe precedente, travestito da donna e con il rossetto che sbava sulla bocca, è il nuovo Penteo intorno a cui la menade Vanda tesse la sua danza orgiastica.
Ancora una volta Dioniso ha messo in scena il suo folle rito, lo “spirito selvaggio dell’antitesi e del paradosso, dell’immediata presenza e della assoluta e remota distanza, della felicità e dell’orrore, dell’infinita vitalità e della più cruenta distruzione” (Walter Otto) ha celebrato la sua vittoria in compagnia di Venere (qui danzante in pelliccia, nel dipinto di Tiziano nuda allo specchio, in Botticelli diafana anadiomene e via così per secoli e secoli).
Definito una “commedia erotica brillante e caustica“, al di là dell’illustre originale del barone Leopold, La Vénus à la fourrure è tratto da Venus in fur, pièce di grande successo del 2010 firmata da David Ives, qui collaboratore con lo stesso regista alla sceneggiatura.
Un rimbalzo millenario di rimandi che, dalle Baccanti nel teatro di Dioniso adagiato sui fianchi dell’Acropoli al set del finto teatro Récamier nel 7° arrondissement di Parigi, mette in scena l’eterno rapporto di dominazione e sottomissione di entità opposte e inconciliabili, il gioco di potere sottile e ambiguo da cui è difficile che qualcuno esca vincitore, se è vero che, ancora secondo Deleuze, non c’è dialettica ma solo un gioco infinito: “Ogni persona di una perversione ha bisogno soltanto dell’elemento della stessa perversione, e non di una persona dell’altra perversione”,.
Tocca dunque come sempre all’arte mettere a nudo queste aporie e tradurle in opere, magari leggere e spumeggianti come questo ventesimo film di un genio che plasma la sua materia come, appunto, scriveva Masoch: “Credo che ogni creazione artistica si sviluppi nello stesso modo con il quale questa femmina sarmata si è formata nella mia immaginazione. Dapprima esiste nello spirito di ciascuno di noi una disposizione innata ad afferrare un soggetto che sfugge alla maggior parte degli altri artisti; poi si aggiungono a tale disposizione le impressioni della vita che presentano all’autore la viva immagine della quale esiste già il prototipo nella sua immaginazione.Questa immagine lo intriga, lo seduce, lo cattura poiché viene incontro alla sua disposizione e corrisponde alla sua natura d’artista che, allora la trasforma, e le da un corpo e un’anima.”

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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