24 mesures è un bignami sulla teoria del caos, sbattuta in faccia con quell’inesorabile geometria che comincia a puzzare quando esci dalla sala e provi la sgradevole soddisfazione di aver in pugno immagini, conseguenze, significati. Peccato perché il film parte con concitazione feroce e sorprendente incertezza dello sguardo, braccando il volto di Helly in un piano sequenza spietato che non la molla neanche quando viene sbattuta giù per le scale dell’appartamento dove si trova, qualcosa che assomiglia molto al livello di fisicità che è solo una parte del cinema di E. Zonca e in modo diverso, all’occhio dei fratelli Dardenne. Didier, Chris, Marie e sua madre, la stessa Helly sono legati da azioni con le radici che affondano in un passato senza comunicazione reciproca ma che comporta l’emersione di conseguenze radicali per la mutazione delle loro vite. Il debutto su lunga durata di Jalil Lespert , già attore per Cantet e de Bouvois , segue questo filo selvaggio in un fluire amorale che cattura l’ambiguità dei volti, la stolidità dei gesti, l’iterazione animale del desiderio; alcuni frammenti, in questo senso, sono notevoli ma vengono cauterizzati da una serie di cesure narrative che svelano quasi subito il loro esser parte di un’architettura; quello che è discutibile è la connessione che permette di passare da un universo all’altro con l’escamotage del taglio; nell’impermanenza di questo flusso che Lespert riesce a filmare con una vicinanza al corpo e al gesto, soprattutto quando segue l’incredibile Lubna Azabal, viene collocato un ponte; quello che viene meno è proprio l’inatteso, l’abisso, perché dopo i primi due frammenti, i pezzi cominciano ad essere percepiti come tali, tasselli di un puzzle facilmente pre-vedibile. La presenza di Archie Shepp è l’occasione mancata per costruire un territorio della contaminazione imperfetta, cercando al contrario un’accumulazione di significato nel gioco teorico delle 12 misure, momento in cui la voce di Shepp emerge dal nero dell’immagine per precipitare di nuovo in un didascalismo che sfiora il sublime/ridicolo.