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Un baiser, s’il vous plait – Emmanuel Mouret – Venezia 64: la recensione

Emmanuel mouret rispondendo ad uno spettatore incuriosito dall’ipertrofia di oggetti artistici e finestre di im-postura vermeeriana disseminate nel suo ultimo film, rispondeva con un boutade degna della sua filmografia; gli interni di comuni abitazioni borghesi, come quella di una qualsiasi zia appassionata di dipinti a sfondo erotico, sono alla base delle scelte pittoriche di Un Baiser, s’il vous plait. In effetti, l’ennesima eredità nouvelle vague nel cinema di Mouret è attraversata da una geometria falsificante, ridondanza di stimoli all’interno di una composizione dell’inquadratura che nell’apparente perfezione formale cerca una fuga dal segno mediante sberleffo; dialoghi spiraliformi che sviluppano un percorso di mutazione surreale, per certi versi vicini alla possessione delirante della parola nel cinema di Jacques Doillon, ma con una netta inversione di polarità. Gesti e corpi, asfissiati da questa geometria del falso segnalano una rottura, una crepa, significando altro disvelano la menzogna della parola e l’oppressione dei segni. Quando Virginie Ledoyen e lo stesso Mouret architettano l’incontro tra i loro rispettivi compagni per indurli al tradimento un baiser, s’il vous plait raggiunge l’apice della gag teatrale come luogo di elezione del falso attraverso una serie di forzature delle dinamiche del caso. Il cinema di Mouret è un’immagine del contrasto, un teatro che annichilisce gesti e parola nell’evidenza dei segni mentre corpi e volti (una splendida Julie Gayet) cercano di uscire da un’organizzazione spietata del mondo. Quando il movimento di un bacio possibile si libera finalmente dalla coazione a ripetere, il senso diventa un segno mobile e Mouret ci regala un’immagine di splendida ambiguità.

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