Una piccola, lieta sorpresa In Paraguay, home movie d’autore che vince una scommessa non proprio facilissima, e cioè quella di costruire la memoria dell’adozione di una figlia e insieme realizzare un documentario efficace e poetico a uso e consumo di tutti. McElwee è un documentarista indipendente di mestiere che, insieme alla moglie, decide di adottare una sorellina per il figlio Adrian. (Esilarante il punto, verso la fine del film, in cui il giudice che deve regolarizzare la cittadinanza americana della bimba si interroga sulla definizione di cineasta indipendente, e si risponde ‘ colui che riprende con la cinepresa qualsiasi cosa gli venga in mente’). Il film è la storia del viaggio di madre padre e figlio alla conquista dell’adozione reale e soprattutto burocratica di Mariah, in un paese le cui dinamiche storiche (apparte quelle più eclatanti) sono sconosciute ai più: il Paraguay. Il regista, che non passa quasi mai dall’altra parte dell’obbiettivo se non nei rari momenti in cui appoggia la camera ad un mobile mostrandosi alle prese con la piccola, costruisce con sapienza la cronistoria diaristica della conquista della figlia- perché un giorno lei possa conoscerla- e insieme la sua riflessione sulla storia e le condizioni attuali di una Nazione che soffre ancora delle dittature subite e che deve parte dei suoi mali all’appoggio ‘condizionato’ degli Stati Uniti.
In preda ad un senso di colpa che non ha però niente di retorico e disonesto, Mc Elwee, accompagnato dal figlio-folletto saltellante Adrian, inganna l’attesa burocratica per l’adozione di Mariah scontrandosi con frammenti di realtà di un paese ferito e contraddittorio (c’è chi vive in capanne senza luce e gas a strapiombo sul fiume e chi invece può permettersi crociere e pranzi luculliani al golf club), e si chiede che parte ha l’America ricca che adotta in tutto questo.
La magia del film, però, risiede in particolar modo nello sguardo del padre: sul figlio naturale, Adrian, di cui vengono documentati con preciso amore i giochi e le dissertazioni, e sulla figlia adottiva, profluvio di dettagli in miniatura che dicono senza parlare la preziosità di tale conquista. Conquista lenta, noiosa e snervante, ritardata da mille cavilli e negligenze istituzionali, senso di stasi e intrappolamento che McElwee traduce in immagini sonnolente, da effetto kulesov palesato, come quella, esemplata, in cui riprende un motorino lasciato acceso ad aspettare, leopardato dall’ombra delle fronde che smuovono la luce, finchè qualcosa alla fine accade, arriva il proprietario e il motorino parte. Così come, dopo mesi di attesa, partirà l’ aereo che riporterà i tre più uno a casa, al loro americanissimo benessere.