Oltre a 13 assasini, in concorso a Venezia 67, Miike Takashi ha portato i due episodi di Zebraman presentati come proiezioni di mezzanotte in collaborazione con Far East Festival di Udine. Il resoconto della conferenza stampa è di Caterina Liverani
Ci parli del successo del personaggio di Zebraman in Giappone
Zebraman era un eroe per ragazzi molto popolare quando ero bambino, è un personaggio sul quale vorrei continuare a lavorare approfondendolo.
Lei è presente alla Mostra del Cinema anche con un film in Concorso, 13 Assassins.
Sono stato piacevolmente sorpreso dalla scelta di Marco Müller. Sono sicuramente due film diversi che interessano spettatori diversi.
Quanto della moderna società giapponese è rappresentato in Zebraman?
Trovo che alcuni adulti in Giappone siano in realtà dei bambini cresciuti e ho cercato di inserire questa mia sensazione nel film che è una storia pacifica che rappresenta la società di oggi.
Ci parli della satira contenuta in questa seconda pellicola dedicata a Zebraman.
Questo secondo film l’ho fatto per chiudere la serie. Non sono sicuro di quanta satira ci sia in realtà anche perché se ce ne è soprattutto è grazie al lavoro che ha fatto lo sceneggiatore Kankuro Kudo
Come ha impostato la collaborazione con lo sceneggiatore?
Cercando di rispettarci e di confrontarci senza voler capirci a tutti i costi ed essere per forza grandi amici. È il rispetto per me la base di un buon rapporto con i collaboratori. Lo sceneggiatore di questo film, Kankuro Kudo, è a sua volta un apprezzato regista e anche un attore quindi è importante tenere le nostre sensibilità distinte.
È difficile ambientare Zebraman nel 2010, come fa il supereroe a trovare una cabina telefonica dentro la quale cambiarsi nell’era degli smartphone?
Tutti usiamo il cellulare oggi, io per primo. Ed è vero, le cabine telefoniche stanno pian piano scomparendo anche se qualcuna per il film sono riuscito a trovarla
La frase “Zebraman non è solo un eroe, ma crede nei propri sogni” è una frase emblematica del suo lavoro?
In Zebraman se credi il tuo sogno si avvera; nella realtà, una volta diventati adulti, però scopriamo che non è sempre vero ma continuiamo lo stesso ad aggrapparci ad un sogno anche quando le possibilità sono poche. La lezione forse è che non è tanto far si che si avveri, ma continuare a crederci.
Come mai nel suo cinema ricorre l’immagine della famiglia disgregata?
La famiglia come noi la immaginiamo quando siamo piccoli crescendo ci accorgiamo che non esiste perché ogni individuo è spinto a soddisfare le proprie esigenze e oggi questo è sempre più possibile. Un esempio emblematico è quello del televisore: un tempo ce ne era uno solo in ogni casa, adesso ce ne è praticamente uno in ogni stanza, e questa non è certo una prerogativa del Giappone.
Ci può parlare dell’uso delle luci e delle sfumature nel suo cinema?
In Giappone quando non sappiamo che strada prendere abbiamo un detto: “Scegli il bianco o scegli il nero”. La verità però è che alle volte le cose vanno lasciate come sono. Questa è una cosa che appartiene profondamente alla nostra cultura e non è facile da capire. Da un punto di vista puramente tecnico e cinematografico sul set lascio grande libertà alle maestranze che si occupano dell’illuminazione e della fotografia, quindi molto del risultato finale lo si deve a loro.