Balabanov ha saputo cogliere come pochi altri l’anima nera delle diverse epoche della società russa: i morbi intellettuali degli anni Dieci (Morfij, 2008), la perversione tecnologica degli anni Venti (Pro urodov i ljudej, 1998), la stagnazione cadaverica degli anni Settanta (Cargo 200, 2007), l’etica criminale degli anni Ottanta (Brat, 1997), la brutalità della guerra cecena (Vojna, 2002). Come se la resa dei conti fosse già avvenuta (il fuoco che annienta e purifica in Kočegar, 2010), l’atmosfera plumbea e apocalittica di quest’ultimo film travalica i confini della geografia e della storia russe, puntando a un altrove extratemporale. Il Campanile della Felicità si trova in uno spazio separato dal mondo. Torna inevitabilmente alla memoria la Zona tarkovskiana di Stalker, ma qui il territorio è una carcassa abbandonata più che un’entità psichica viva. Il regno di Utopia, già preannunciato in Cargo 200 quando – nel corso del dialogo sull’ateismo – viene citata la La Città di Dio di Campanella, torna qui in apertura del film nell’invocazione del Musicista davanti all’icona con una citazione letterale delle Preghiere della Torre di Tommaso Moro che è anche l’autore dell’isola di Utopia. La ‘città degli uomini’ è un posto da cui fuggire senza esitazioni (lo vogliono tutti, per dirla col titolo del film) perché le torri sono ciminiere. Un posto saturo di rumori (sirene, cantieri, tamponamenti a catena), asfittico (sauna, ascensori, case anguste) e malato dentro (farmacia, ospedale, endoscopia).
Il classico dinamismo centripeto dei personaggi di Balabanov dalla periferia all’epicentro della Russia, dalla provincia alla città, lascia il posto a un deciso movimento centrifugo il cui unico prodromo è nel finale di Mne ne bolno (2006) ma con esito diverso e immanente – fallita la ricostruzione-perestrojka in città, la rifondazione poteva attuarsi nello spazio vergine della provincia russa e nel calore degli amici, mentre in questo caso l’epilogo è freddo, individuale e trascendente. Identico resta però il concetto della forza dei figli e della debolezza dei padri: Matveev porta con sé il fantasma del padre veterano di guerra, la Ragazza si prostituisce per aiutare la madre malata e Balabanov junior è il ragazzo veggente che conosce tutto, laddove Balabanov senior non sa cosa che ha fatto. Una leggenda locale narra che il campanile pendente – realmente situato tra San Pietroburgo e Uglič – cadrà proprio quest’anno, l’apocalittico anno domini 2012. Il monologo di Matveev davanti al falò veicola l’idea del regista: la totale palingenesi dell’umanità presuppone una distruzione totale della civiltà, una nuova era glaciale che come una tabula rasa permetterà una rifondazione integrale dei valori e della società. In assenza di guide spirituali (non ci sono “stalker”, il prete viene respinto e le chiese sono vuote e scoperchiate) il campanile della felicità ricorda la Torre di Babele della Genesi (“una torre la cui cima giunga fino al cielo”) ossia il sogno di un’umanità unita verso un bene comune. Il vecchio deve perire perché possa rifondarsi il nuovo – il padre Balabanov muore e il figlio Balabanov è proiettato in un altrove che non è dato conoscere.